La ricerca della fiducia finanziaria in un’era metastabile
La fiducia finanziaria globale richiede un punto di ancoraggio molto forte in acque tempestose. Tale punto è una moneta stabile rafforzata dalla potenza geopolitica e geoeconomica. Finora tale ruolo è stato svolto dal dollaro combinato con la Pax Americana, intesa come monopolio della violenza e quindi fonte della stabilità internazionale. Ora i dati mostrano che questa architettura americocentrica è in lento declino. Il punto: Christine Lagarde ha esibito soddisfazione per tale situazione perché la ritiene una spinta per l’evoluzione dell’euro come moneta di riferimento mondiale. Pur comprendendone il desiderio di chiudere il mandato alla Bce con una nota positiva sulla gestione dell’euro dopo le molte critiche, ritengo un grave errore di (geo)politica monetaria pensare ad una sostituzione del dollaro da parte dell’euro in relazione alla missione di produrre fiducia che è mandato fondamentale per una Banca centrale. Mentre ritengo giusto reagire alla relativa debolezza prospettica del dollaro generando un progetto di convergenza graduale tra le monete del G7, ed un allargamento del G7 stesso con formato G7+, fino alla generazione di una metamoneta, il credit, basata su un paniere di valute con oscillazione di cambio ridotta tra loro: dollaro, euro, sterlina, yen, dollaro canadese. Poi da estendere ad altre monete di nazioni che entrino in un G7+, per esempio Australia, Nuova Zelanda, Corea del Sud, ecc.
Tale scenario strategico, su cui il mio gruppo di ricerca euroamericano lavora dal 2013, ha al momento probabilità inferiore al suo contrario, cioè la frammentazione geo-monetaria. Tuttavia, grazie a simulazioni di lungo termine che ritengo dotate di certo realismo (scenari what if) prevalgono due tendenze: a) non c’è un successore nazionale singolo dell’impero statunitense nel mondo delle democrazie; b) non c’è, conseguentemente, una moneta nazionale di ancoraggio con capacità di sostenere la fiducia finanziaria globale. L’euro, pur robusto, soffre della mancanza di una politica fiscale integrata, cioè di un gap di confederalizzazione che appare duraturo. Lo yuan ha una base di potenza notevole, ma i limiti di un regime autoritario. Pertanto resta, come pilastro della fiducia, l’integrazione monetaria delle democrazie. Del tutto improbabile durante l’Amministrazione Trump, ma non escludibile un primo passo geopolitico di convergenza euroamericana dovuto al fatto che senza l’Ue l’America non potrà aspirare al ruolo di prima potenza globale e che senza l’America l’Ue non ha forza globale sufficiente. Poi, passato Trump pur forti le correnti isolazioniste in America, non è improbabile una revisione della postura americana finalizzata a mantenere un ruolo di prima potenza, ma entro una architettura integrata con gli alleati. Siamo in un picco di metastabilità sistemica, o cambio di mondo. Ma Stati democratici e loro Banche centrali non dovrebbero perdere di vista la priorità di costruire la fiducia finanziaria che è base per quella economica.
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