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Carlo A. Pelanda
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IL PUNTO

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26/10/2025

Tre anni per compensare sul piano globale il gap di export verso gli Usa

In quanto tempo ed in quali modi l’Italia potrà sostituire il calo dell’export e/o dei margini industriali verso gli Stati Uniti, causa dazi, nonché verso altri luoghi con barriere geopolitiche, trovando alternative geoeconomiche. Il tema è caldo perché sul piano macro l’Italia non ha la possibilità di sostituire il modello export-led con uno basato su maggiori consumi interni sia per configurazione del sistema produttivo sia per limiti allo spazio fiscale, causa servizio del debito, utile ad investimenti e detassazioni competitivi nonché per l’eccesso di salari troppo bassi.

La scenaristica prodotta da una varietà di centri di ricerca che circola al momento in materia sta producendo un’immagine più problematica di quella di qualche mese fa. Il mio gruppo di ricerca concorda. Ma dopo un’analisi proiettiva probabilistica di geopolitica economica pur preliminare dei punti di forza e debolezza dell’export italiano ha ipotizzato uno scenario di caso migliore che indica in 3 anni il tempo necessario per la sostituzione dell’export verso gli Stati Uniti con un ulteriore plus di crescita nel globo. Il caso migliore è sostenuto sia da dati che mostrano una febbrile attività dell’Italia nel siglare bilaterali strategici a livello globale per sostenere accordi industriali sia da un’intensa ricerca da parte delle aziende di sbocchi alternativi. Tuttavia, tale scenario è necessariamente condizionale.

Le condizioni principali, tralasciando qui la necessaria limitazione dei conflitti bellici sul piano della loro intensità ed effetto globale – variabile definibile tra qualche mese - sono il successo sia dei partenariati bilaterali detti sopra con particolare attenzione all’Africa sia quello dei trattati economici di libero scambio che sono di competenza dell’Ue e vengono spinti con forza dalla Germania che ha lo stesso problema di dipendenza dall’export dell’Italia, anche se con spazio fiscale maggiore per investimenti propulsivi. Per inciso va ricordato che i trattati dell’Ue con il Canada ed il Giappone hanno fornito un grande vantaggio all’export italiano.

Ciò suggerisce l’inserimento aggiuntivo di un bilaterale strategico - non commerciale perché di competenza Ue, ma industriale con effetti perfino maggiori, tra Roma e Tokyo, estendendo l’accordo per la piattaforma aerea Gcap (con il Regno Unito), e tra Roma e Ottawa che recentemente ha segnalato la volontà di legami europei più forti. Una condizione importante sarebbe il concordare un limite all’eccesso di concorrenza tra nazioni esportatrici dell’Ue in cambio di “convergenze reciprocamente contributive” dove ciascuna aiuta le altre, favorendo le capacità di integrazioni industriali intraeuropee, per esempio recente quella nel settore spaziale.

La priorità per l’Italia è trovare convergenze per l’iniziale costruzione di un mercato mediterraneo con centralità italiana sostenuta dall’America e dagli altri europei. C’è un lavorio preliminare in questa direzione e spero che la nuova unità economica del ministero degli Esteri punti a consolidare tale vettore strategico precursore per espansioni concordate europee, ora in preparazione, verso il Mercosur, l’Australia, L’Indonesia e, soprattutto, l’India. Sul punto sarà importante la convergenza o non opposizione dell’America che ritengo possibile perché Washington sia sta rendendo conto che ha più bisogno di alleati europei e di un G7+.

Resta da valutare quante imprese italiane decideranno di mettere sedi negli Stati Uniti, ma sarà possibile ottenere dati solo tra un anno circa. I dati di migrazione industriale italiana attratta dal programma di reshoring ed incentivi della precedente Amministrazione Biden mostrano un flusso minimo. Anche per questo motivo resta probabile l’ipotesi di una ricerca prevalente dell’export alternativo nel globo da parte di imprese italiane in un orizzonte triennale.

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