La nuova ricerca sul ciclo del capitale per la sicurezza
Ho molto apprezzato per realismo il recente discorso di Sergio Mattarella nel punto in cui ha enfatizzato che una democrazia ha bisogno di sicurezza e quindi – implicitamente – di attivare la spesa necessaria per ottenerla. Questa posizione del Presidente della Repubblica legittima la priorità della difesa e pone nel campo dell’irrealismo il pacifismo lirico: il custode della Costituzione ha di fatto dichiarato che l’Italia non deve più essere una società debellicizzata, la capacità di sicurezza anche militare un bene pubblico nel contesto di un mondo con rischi bellici crescenti e, per l’Italia, vicini.
Ricordo quando lavorai con Paolo Savona la sua enfasi sul concetto di bene pubblico che io interpretai come prodotto finanziario capace di combinare utilità sociale e produttività economica. Ora sto riprendendo gli appunti di un ventennio fa per approfondire il come combinare spesa crescente per la sicurezza (in base agli accordi Nato ed intraeuropei) e sua produttività economica, avendone il Quirinale ben definito l’utilità sociale (per necessità). Tale missione di ricerca serve ad evitare il conflitto tra aumento della spesa militare e spesa sociale, tra sicurezza e welfare. Devo subito dire per i benpensanti che l’aumento della sicurezza non implica aggressività bellicista, ma riduzione della vulnerabilità via deterrenza e dissuasione di fronte a comportamenti aggressivi da parte di entità statali ed informali crescenti. Per la relazione tra spesa militare e welfare ho chiesto a colleghi australiani una valutazione dei primi effetti del programma di sommergibili nucleari britannico-statunitense-australiano (AUKUS, 2021) recentemente confermato da un bilaterale tra UK ed Australia di collaborazione per 50 anni nel settore: nuove costruzioni portuali, più occupazione qualificata, più ingegneri nelle università, in sintesi una qualificazione sia infrastrutturale sia socialmente cognitiva con incremento dei posti di lavoro specializzati. Questi dati mi hanno portato a rivedere gli effetti sistemici dell’enorme apparato militare statunitense dal 1945 in poi e di come, dal 1941 al 1945, il riarmo accelerato statunitense abbia risolto i problemi di depressione (dal 1930) in America non risolti dal New Deal. La sintesi è che la spesa militare è stata sia un succedaneo del welfare sia un traino di innovazione tecnologica per l’industria civile. Ciò mi ha suggerito l’astrazione classificatoria di dividere la spesa militare in orizzontale e verticale. La prima comporta più stipendi pubblici e qualificazione degli addetti, definibile come forma di welfare. La seconda è una spinta di capitale pubblico concentrato per la crescita del Pil che permette di sostenere sul piano della politica fiscale l’aumento della spesa per questo succedaneo del welfare, interessante perché sarebbe un welfare qualificante e non assistenziale. Gli sviluppi di questa linea di ricerca sono compatibili con l’aumento della spesa di sicurezza in relazione alla minaccia russa nei Paesi baltici che, in base ai primi dati, ha un effetto stimolativo sull’economia civile, molto significativo in Germania. In conclusione, ci sono gli elementi per disegnare un ciclo di capitale per la sicurezza senza sottrazione della ricchezza, evitando la tipologia di economia di guerra che rende probabili conseguenze depressive per l’economia come oggi visibile in Russia. In conclusione, ci sono motivi di ricerca per approfondire le condizioni di convergenza e non di conflitto tra spesa per la sicurezza e welfare non dando per scontata come si sente da alcune parti della politica italiana la loro incompatibilità.
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