Problema noto, ma con soluzioni ancora vaghe o insufficienti. Da un lato, In Italia ci sono centinaia di start up con ottima sostanza innovativa ed il loro numero sta crescendo. Inoltre, sta aumentando l’attenzione da parte di piccole imprese con già modello di business e bilancio consolidati che stanno dando attenzione alla quotazione in Borsa. Dall’altro, manca il capitale di investimento fornito dal trasferimento di parte del voluminoso risparmio italiano sul potenziale industriale nazionale innovativo o comunque molto vitale. Il problema è anche europeo – sottolineato da Mario Draghi quando ha segnalato la migrazione delle start up verso l’America – ma in Italia è più evidente e con impatto negativo sulla creazione della ricchezza nazionale, considerando che è in atto una rivoluzione tecnologica che creerà vincitori e vinti sul piano della competizione geoeconomica.
Il ponte più realistico e semplice tra risparmio ed investimenti industriali sono le Borse. Su questo punto c’è consapevolezza nell’Ue che sta rifinendo un Listing Act. Poi in Italia c’è consapevolezza sulla necessità di unire capitale pubblico e privato per sostenere le imprese innovative, per esempio in un nuovo Fondo di fondi gestito da Cassa depositi e prestiti. Bene, ma la sensazione mia e del gruppo di ricerca che coordino è che sia necessario strutturare meglio la fase di pre-quotazione o comunque di presentazione di un’impresa innovativa al capitale. L’idea non è nuova ed è stata già praticata dal programma élite di Borsa italiana. Ma la sensazione è che ci voglia di più. Ipotesi: due piattaforme ad accesso informativo ed interattivo globale. Prima, una vetrina – corredata da requisiti informativi controllabili – dove molteplici imprese non quotate si presentano al capitale di investimento e con una sezione dedicata a start up, aggiornata ogni anno. Seconda, una vetrina altrettanto ad accesso globale più selettiva di aziende medie, piccole e start up che hanno deciso di quotarsi ed hanno avviato il percorso per farlo. Qualcuno potrebbe dire che queste due piattaforme sono inutili perché esiste già un mercato strutturato che unisce domanda ed offerta di investimenti via advisor ed eventi dedicati. Senza criticare o sottovalutare questo sistema va però annotato che è insufficiente. Inoltre, le vetrine dette stimolerebbero le piccole aziende e le start up a darsi il giusto ordine per interagire con il capitale di investimento. Va poi detto che tali vetrine (volontarie) faciliterebbero l’analisi via intelligenza artificiale dei potenziali delle aziende, ampliando la platea dei contatti. L’operazione vetrina è abbastanza semplice e promette più visibilità al capitale di investimento di circa 1.500 piccole imprese e 300 start up italiane quotabili, al momento, entro un triennio. Mi permetto anche una segnalazione ai fondi chiusi: riscoprire i fondi Pipe (Private Investments in Public Equity) ed aggiungere al raggio di quelli Private Debt una spinta per il listing.