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Carlo A. Pelanda
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IL PUNTO

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3/11/2025

Necessario e possibile aumentare il potere minerario italiano

La capacità di ricatto dimostrata dalla Cina nei confronti dell’America e potenzialmente alle nazioni europee grazie al (quasi) monopolio sulle terre rare – minerali critici necessari per l’industria tecnologica – deve far riflettere l’Italia. Da un lato, il governo ha attivato il Programma nazionale di esplorazione mineraria (Pne) che ha avviato 14 progetti esplorativi d’avanguardia per la riduzione della dipendenza di minerali critici dall’estero in particolare terre rare dalla Cina. Ma la situazione geopolitica suggerisce la necessità (per prudenza e competitività nazionale) di accelerare tale programma e le sue conseguenze operative sul piano di cantieri e nuove tecnologie di estrazione, rigenerando le vecchie miniere chiuse, potenziando le 76 ora attive di cui 26 dedicate a minerali critici e trovando nuovi giacimenti.
Il potenziale di estrazione espansiva appare il seguente: feldspato e fluorite sono già ben sfruttati, ma restano in attesa di (ri)sfruttamento rame, cobalto, tungsteno, grafite, barite, antimonio, nichel, zinco, piombo, manganese, titanio, litio e terre rare. C’è anche oro ed argento, probabilmente scarsi, ma io ricordo una bella pepita aurea trovata in un corso d’acqua montano. Nelle liste ufficiali manca l’uranio, ma ricordo le mie gite in Carnia dove il fondo radioattivo misurato da un amico geologo mostrava picchi (innocui sul piano medico). Quanta roba c’è? Non ho il dato preciso, ma molteplici fonti dati sia attuali sia storiche mi fanno ipotizzare tanta roba. Come mai non è stata sfruttata e molte miniere sono state chiuse? Perché nel passato era più conveniente importare. Ora questa convenienza economica non c’è più per molti materiali.
E per i minerali critici diventati armi è fonte di vulnerabilità grave. Darei la priorità alle terre rare. Queste sul pianeta non sono affatto rare, ma la loro estrazione richiede distruzioni di territorio rendendo difficile per le democrazie e territori piccoli ad elevata densità abitativa lo sfruttamento che invece è più facile in nazioni grandi e con regime autoritario, appunto Cina, Russia ed altri. Ce ne sono in Italia? Sì, in alcuni punti nell’arco alpino ed appenninico. Le tecnologie di rilevamento in uso sono robuste: telerilevamento con analisi geofisica e geochimica, sensoristica aerea e spaziale, il tutto gestito da intelligenza artificiale. Dati pubblici? E’ in programma il Database minerario nazionale GeMMA con accesso a ricercatori ed investitori. In sintesi, la proposta qui fatta di accelerazione non trova un vuoto, ma un pieno già attivo a cui mettere le ali. Come?
Bisogna attrarre capitale di investimento con formule pubblico-privato e questa parte sembra non troppo difficile viste le molte attenzioni di investitori esteri (politicamente compatibili).
Ovviamente ci sono barriere normative legate alla conservazione del territorio. Ma sono possibili rapidamente nuove tecnologie pulite di estrazione, per esempio adattando i macchinari in uso per la costruzione di gallerie, e di lavorazione. Percepisco anche la recente volontà dell’Ue di facilitare sul piano delle norme l’estrazione di minerali critici combinata con un nuovo programma d’emergenza statunitense per l’autonomia nel settore delle terre rare, annotando che anche il Pentagono ci mette soldi. Non riesco a probabilizzare per mancanza di dati sufficienti il possibile rango futuro dell’Italia come potenza mineraria internazionale, ma ho elementi per poter scommettere che in un decennio possa avere una posizione non irrilevante, con vantaggio per la crescita economica.
Nella formula per lo sviluppo minerario vanno anche inserite le tecnologie di raffinazione delle terre rare. In Italia il potenziale scientifico ed industriale per costruirle o adattarle da altri settori c’è. E potrebbe diventare una capacità da esportare in zone certamente ricche sul piano minerario, per esempio in Groenlandia, Brasile, Turchia, Svezia (enorme giacimento di alcune terre rare) ed Africa, questa una vera cuccagna mineraria. Aggiungerei quindi anche questa analisi riferita alla costruzione di un ciclo globale dei minerali critici che rompa il monopolio ricattatorio della Cina.
Ma riflettendo sulla costruzione possibilmente più rapida di un potere minerario italiano connesso alle alleanze con altre nazioni, non posso tacere la necessità di una nuova riflessione sul potenziale dei combustibili fossili esistenti nella nostra giurisdizione, gas e petrolio. A me questi elementi non piacciono e francamente faccio il tifo per la loro sostituzione con l’energia nucleare di nuova generazione integrata da fonti pulite intermittenti (solare), locali continue (per esempio, idro) o di nuovo tipo, per esempio idrogeno. Ma lo scenario di sostituzione dei combustibili fossili prenderà nel migliore dei casi 40 - 50 anni.
Ed in questo periodo la riduzione dei costi dell’energia necessaria per le attività industriali e per coprire un aumento della domanda di elettricità trainato dai nuovi data center e simili richiede la continuazione dell’uso, pur più efficiente, di gas e petrolio. Pertanto mi sembra ovvio dover pensare a quanta roba fossile possiamo estrarre dal territorio e fondali italiani, nonché vicini. Un pensiero preliminare basato su dati è che ci sia molto più gas estraibile con vantaggio economico di quanto sia ora in progetto. Al riguardo del petrolio, osservando i dati della Basilicata e dei fondali marini della Sicilia, non mi sembra fantasia immaginare potenziali molto grandi. Le tecnologie estrattive sono ora più pulite. Intravedo l’Adriatico come luogo di collaborazioni estrattive (gas) e condivisione dei limiti definiti dal rischio ambientale tra la costa occidentale (noi) e quella balcanica, un Lago Adriatico pulitissimo e produttivo.

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