Verso una configurazione bipolare del globo, ma meno conflittuale
L’anomalia della conduzione Trump non deve far sottovalutare l’aggiustamento in atto della sua linea strategica per evitare effetti controproducenti sia sul piano interno sia su quello esterno. Ora è importante capire quanto tale aggiustamento possa modificare lo scenario.
Dati recenti indicano che Washington sia rimasta sorpresa dalla reazione simmetrica della Cina alla guerra economica lanciata contro Pechino dall’America perché questa si aspettava un cedimento accomodante da Pechino stessa dovuto al problema della sua sovracapacità produttiva. Se così, pur non escludendo un compromesso perché i contatti riservati non si sono interrotti, ciò spiega in buona parte una variazione della strategia statunitense: ora non può permettersi una divergenza eccessiva da parte degli alleati, in particolare Ue e Giappone, perché ne ha bisogno. Ciò dovrebbe avere un impatto ammorbidente nei negoziati in materia di dazi con loro. Cioè l’America, pur superpotenza, è troppo piccola per gestire senza alleati convergenti un conflitto bipolare con la Cina. E probabilmente non basta. Senza una minore convergenza tra Russia e Cina ed una maggiore influenza condizionante sulle nazioni chiave del Sud globale sarà difficile per l’America ottenere un vantaggio nel conflitto bipolare. Parecchi governi se ne sono già accorti. Tokyo e Seul hanno abbozzato un accordo economico con Pechino enfatizzando una stretta di mano fra i tre rappresentanti come segnale dissuasivo all’America in fase di negoziato sui dazi. Così come l’India ha percepito una sua rilevanza maggiore utile per attutire i dazi statunitensi e prendere posizione chiave per l’infrastruttura di enorme rilevanza geoeconomica programmata per connettere Indo Pacifico, Mediterraneo ed America atlantica (Imec) che ha anche rilievo geopolitico per le relazioni convergenti con Arabia ed Emirati e per azioni congiunte verso l’Africa con scopo la riduzione dell’influenza cinese in quel continente. Ed altro, tra cui la pressione statunitense per evitare che l’Iran diventi una potenza nucleare come garanzia di sicurezza per le nazioni arabe sunnite. In sintesi, l’America è costretta ad un maggiore ingaggio sul piano globale per restringere l’influenza competitiva della Cina. Ed anche la Cina stessa deve rafforzare la sua capacità di penetrazione mondiale per contrasto. Tale scenario era previsto in termini generici nel programma di ricerca avviato nel 2013 “Deglobalizzazione conflittuale e riglobalizzazione selettiva” ed al momento appare realizzarsi. Se così, però, sarà necessario il mantenimento di almeno una parte dei flussi economici globali per evitare rischi depressivi. Da un lato, la concorrenza tra due blocchi nel mondo potrebbe portare ad effetti positivi via accelerazione della rivoluzione tecnologica e dell’efficienza economica, nonché monetaria, in ciascun blocco. Ma anche rischi di implosione e di conflitti cinetici. Pertanto è oggetto di ricerca e di azione geopolitica un derisking negoziale tra un’America rinforzata dalla (ri)convergenza con gli alleati ed una Cina che calcoli più realisticamente i limiti della propria forza.
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