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Carlo A. Pelanda
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Lettere a CP del 2024

7/4/2024

Dear prof Pelanda
Ho letto con interesse il suo articolo sul La Verità del 7 aprile, sulla proposta del “Piano Fermi” per e nuove mini centrali a fissione ed in prospettiva quelle a Fusione. Solo due considerazioni : una puntualizzartice ed una critica..
La produzione di CO2 antropica non è stato dimostrato scientificamente e non può essere dimostrata (vedi Popper!) come il motore controllore del cambiamento climatico che chiunque può ben riconoscere essersi sviluppato nei millenni passati in totale assenza di contributi antropici. La decarbonizzazione è diventata un Must-Dogma inattaccabile, anche se fior di scienziati non prezzolati la contestano con solidi argomenti. Il business che ci sta dietro, guidato da grandi potentati economico-finanziari, è troppo forte e lucra sulla popolazione cui si impongono forzosi prelievi per sostenere tecnologie non competitive. Controlla i media e zittisce ogni voce critica. L’ultimo premio Nobel x la fisica, J.Clauser, il cui intervento al FMI è stato cancellato, per le affermazioni contrarie al AGW ne è la prova regina !
La considerazione critica è che non si può annoverare l’idrogeno fra le fonti Energetiche primarie: è solo un vettore, atteso che in natura non si rilevano in modo significativo sorgenti endogene di H2. Si può citare che il motore a combustione interna inventato inizialmente da Barsanti e Matteucci (ma poi attribuito ad altri, Otto ….) era alimentato con un gas in cui compariva anche l’Idrogeno, ma era marginale !.
Le Fonti Energetiche primarie sono :i combustibili fossili, l’energia geotermica, l’energia del potenziale idrico( dovuta al campo gravitazionale), quella solare ed eolica, e quella nucleare da fissione (oggi) e da fusione (domani).
Cordiali saluti

Francesco Martelli,Eng.
Professor Emeritus
Founder & Former head of CREAR (Research Centre for Renewable Energy)
Founder & Past Chairman EUROTURBO (European Turbomachinery Society)
c/o Dip. Industrial Engineering -University of Florence
Via S.Marta, 3 50139 Firenze
ITALY

Ps. Alcuni anni fa da Presidente del Rotary Firenze la invitai per un suo intervento al mio Club , ma poi non finalizzammo l’operazione.

31/3/2024

Caro professor Pelanda, Caro Direttore
ho letto con estremo interesse l'articolo di Pelanda di questa mattina sul nostro amato quotidiano, e siccome ho dedicato la mia vita professionale all'aviazione, mi permetto di scambiare con voi alcune considerazioni. Premesso che sarei favorevole a mantenere sempre almeno una parte delle azioni di Ita nelle mani del nostro governo, credo saremo d'accordo sul dire che la battaglia in corso per impedire l'acquisizione è del tutto politica e viene fatta dalla Ue nel tentativo di far mantenere alle lowcost il dominio del nostro mercato interno.
Ci sono tuttavia alcune caratteristiche importanti da conoscere sul sistema aviazione italiano che ne fanno un pollaio per faine.
Uno degli errori più gravi di chi si occupa di aviazione oggi nel nostro Paese è pensare che quella commerciale sia disgiunta e indipendente da quella generale e privata, dalle infrastrutture e dal modo, perdoni il termine, caciottaro, con il quale interpretiamo e applichiamo le regole europee. I funzionari dei nostri enti, nell'incubo di essere perseguiti dalla magistratura, sono campioni nello sport di liberarsi dalle responsabilità e lo fanno con regole e regolamenti i cui doveri sono posti a carico di chi ha l'ardire di imprendere. Con il risultato immediato di scoraggiare qualsiasi nuova iniziativa. In Germania, per esempio, un singolo funzionario, anche privato cittadino sotto contratto con l'autorità aeronautica, può deliberare l'aeronavigabilità di un aeromobile. Una visita, una firma, e si vola. In Germania esiste un florido mercato dell'aviazione generale e privata che sostiene, con nuove leve, velivoli e capitali, il comparto dell'aviazione commerciale dal basso, ovvero lo sostiene alla base dall'aviazione generale, mentre in Italia chi possiede anche soltanto un piccolo aeroplano è un perseguitato fiscale. Il numero di velivoli iscritti ai registri dei due Paesi, se confrontati, fa rabbrividire, con meno di mille aeroplani in Italia contro diverse decine di migliaia in Germania, dove nessuno grida allo scandalo se si usa un aeromobile privato per spostarsi. Il volo è persino uno sport diffuso nelle scuole superiori. In Italia i nostri aeroporti minori, dove si forma la base dell'aviazione, sono costantemente vessati da regole che l'Europa ha pensato per i grandi aeroporti, con costi insostenibili e soprattutto l'innesco di un meccanismo perverso, per il quale nessun aeroporto italiano ha una società di gestione in attivo se non ci sono almeno un milione di passeggeri che vi transitano.
E peggio mi sento quando la rete dei 103 aeroporti italiani (dei quali solo qualche decina aperti al traffico commerciale, gli altri definiti "minori") viene aggredita da speculazioni.
L'Italia con Leonardo possiede parte di ATR, azienda leader di mercato nella costruzione di aeromobili turboelica per il trasporto regionale, ma la sottocultura prodotta da quanto ho descritto porta intere comunità a rifiutare che aeroporti come quello dell'Elba, Fano, Ravenna, Aquino, (altri) li possano accogliere se non creando un costosissimo impianto "di sicurezza" che trasforma questi luoghi in costosissime cattedrali nel deserto. A titolo d'esempio, in un aeroporto minore campano tempo fa erano in forza circa trenta persone per quattro voli settimanali; a Cuneo Levaldigi, per sei voli settimanali è stata creata una zona di traffico terminale più grande di quella di molti aeroporti internazionali, a vantaggio di voli che non esistono ma a svantaggio immediato delle scuole di volo che operano in zona, i cui clienti, cioè i giovani che vogliono fare i piloti, scelgono di andare all'estero. A Saint-Tropez (LaMole) o Celerina (S. Moritz), al massimo ci sono sei addetti che fanno tutto, dall'antincendio alla torre, dal rifornimento al bar. Noi a Cortina vogliamo fare le olimpiadi ma guai a parlare di riaprire il piccolo aeroporto.
Per non parlare dei nostri settemila chilometri di coste dove potremmo usare moderni idrovolanti e anfibi per fare voli turistici. Salvo poi andare alle Maldive e stupirci.
Il modo caciottaro è considerare gli aeroporti come stipendifici e grandi magazzini al posto di quanto dovrebbero essere: dei porti, nel senso di approdi, dove ci sono spazi che vendono tempo a vantaggio della comunità. Oggi interi comparti aeroportuali, in primis quello di Bergamo "Il Caravaggio" (voli, officine, scuole di formazione) sono nati e si reggono sugli investimenti fatti di vettori nati come lowcost (in questo caso Ryanair), e il solo pensiero che a causa di un accordo Ita-Lufthansa il nuovo gruppo possa offrire concorrenza da Linate (9 milioni di passeggeri contro i 13 di Bergamo), preoccupa non poco. Ecco, allora, che per avere la forza di pretendere e fare serve un grande partner in grado di lottare ad armi pari con la concorrenza. Oppure occorre una politica nazionale del trasporto aereo precisa e creata con competenza, con progetti che possano sopravvivere a più legislature nell'interesse italiano. Ma in Italia, converrete con me, non esiste neppure una chiara politica dei trasporti pensata in senso generale.

Sergio A. Barlocchetti

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