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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2001-2-7il Giornale

2001-2-7

7/2/2001

Il gattopardo e l’asino

Scuola pazza. La sinistra - lo avete visto nelle cronache delle ultime settimane - sta proponendo una riforma educativa che ha del ridicolo: patentini agli scolari dell’obbligo, programmi educativi senza capo né coda, sistema universitario licealizzato e vuoto assoluto in materia di formazione continua. Cerchiamo di capire perché e di delineare quali infrastrutture della conoscenza sarebbero, invece, necessarie.

  La nuova economia è tale perché trasforma più velocemente ed in modo più socialmente diffuso che nel passato la conoscenza in ricchezza, grazie alla maggiore disponibilità di tecnologia. Dalla “Società industriale” (e post) stiamo, infatti, passando alla “Società cognitiva”. I cui nuovi parametri sono: (a) educazione di massa al più alto standard = capitalismo di massa; (b) produttività intellettuale diffusa = competitività economica nella concorrenza globale tra territori (sub)nazionali. Questi  sono i nuovi “logos e locus” del mondo avanzato che implicano, per ogni nazione, la priorità dell’investimento sul capitale umano e sui sistemi educativi e di ricerca. Ma la sinistra vede tale evoluzione più come problema che come opportunità. La rivoluzione conoscitiva di massa fornirebbe ad ogni individuo tutti i mezzi per trovare un proprio valore di mercato senza bisogno di una garanzia collettiva e relativa intermediazione politica. Che corrisponderebbe alla fine della missione storica della sinistra: se tutti gli individui diventano forti spariranno deboli e ignoranti che ne sono lo spazio di mercato politico. Tale situazione la confonde: sa che deve modernizzare per non farsi intrappolare nell’accusa di conservatorismo, ma non vuole che il nuovo sostituisca il vecchio dove sguazza. E ciò spiega perché la sua catena logica sia andata in tilt: la riforma educativa non è guidata da una precisa e decisa missione futurizzante di qualificazione degli individui e di competitività cognitiva e, per questo, diviene vaga e superficiale; i cambiamenti vengono usati solo come linguaggio cosmetico per preservare il vecchio sistema di statalismo burocratico. In sintesi, il gattopardo si allea all’asino (letteralmente).

La convergenza tra questi due animali promette di continuare il disastro già prodotto dalla sovietizzazione della scuola e dell’università dagli anni ’70 in poi: circa il 60% di analfabetismo di ritorno, tasso inaccettabile di abbandoni o fallimenti scolastici (30%) ed universitari (70%), qualità educativa precaria, fuga dei cervelli, perdita della capacità di ricerca, crisi competitiva per ritardo tecnologico. Quindi è utile ed urgente chiarire, qui necessariamente solo per cenni, quali dovrebbero essere gli standard essenziali di riferimento per una riforma guidata esplicitamente e lucidamente dalla teoria forte della Società cognitiva.

Standard di risultato. Una riforma della scuola dell’obbligo deve cominciare dalla comprensione di quale ne sia il punto critico principale: essere certi che ogni discente, anno per anno, raggiunga lo standard di eccellenza educativa definito. Tale certezza la può dare solo un test nazionale indipendente periodico, su ogni materia e per ciascun individuo (cosa semplificata dalle nuove tecnologie dell’informazione). Se un giovane non lo supera, se in certe aree territoriali o in uno specifico istituto c’è troppa densità di fallimenti, allora lo si può sapere, in forma certificata, e correre ai ripari in modo mirato. In generale, prima si dovrebbero creare gli standard educativi e poi costruire il sistema che deve farli raggiungere. Oggi si fa l’opposto e non ci sono i test indipendenti. Tutto il sistema andrebbe ridisegnato con il criterio di riferimento al “risultato” e non all’”apparato”.

Standard di “campus totale”. Nella società cognitiva non si potrà mai finire di studiare. Quindi bisogna disegnare un sistema di formazione continua e diffusa adatto agli individui in età lavorativa: espansione delle funzioni educative pubbliche e stimolazione di un mercato delle imprese private (profit e non) in questo nuovo settore. Ma  non c’è nulla di serio in materia sia nella realtà sia nei piani di riforma.

Standard dell’eccellenza attraverso concorrenza. Da decenni si tentano riforme universitarie, ma mai si è affrontato il punto essenziale che determina la qualità dell’insegnamento e della ricerca. I docenti sono selezionati attraverso concorso nazionale statale. Ciò provoca distorsioni di ogni tipo. La soluzione è quella di permettere ad ogni dipartimento universitario di scegliere le persone che vuole. Di creare un sistema di valutazione comparativa tra i diversi dipartimenti ed una concorrenza tra loro. Così ogni dipartimento dovrà cercare la massima qualità per raggiungere e mantenere un rango elevato. Questo metodo, per esempio, è il motivo principale dell’eccellenza del sistema universitario americano. Ma il sistema statalizzato italiano non ammette tale concorrenza.

Standard di competenza territoriale diffusa. In ogni regione italiana ci dovrebbero essere almeno tre istituti universitari (arti e scienze, scuola medica e politecnico) che aggiungono alle due missioni accademiche classiche, ricerca ed insegnamento, una terza: servizio al territorio. Con lo scopo di diventare dei centri di rapida diffusione della tecnologia nell’area regionale (interfaccia aperto tra impresa ed università). Oggi non c’è niente di tutto questo e la mancanza di tali diffusori locali di competenza deprime la competitività territoriale.

 Questa sarebbero le vie di una reale modernizzazione, ma le riforme correnti sono sulla strada esattamente opposta.

(c) 2001 Carlo Pelanda
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