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Carlo Pelanda: 2014-6-10Il Foglio

2014-6-10

10/6/2014

Perché un altro taglio al bilancio Difesa sarebbe una grave danno per l’Italia

La rubrica desidera segnalare alle Commissioni parlamentari Difesa ed Esteri, nonché a quelle per le Attività produttive, ed al governo, che l’ipotesi di ulteriori tagli al bilancio della Difesa implicano: (a) un depotenziamento grave delle capacità di politica estera italiana; (b) un indebolimento pericoloso della sicurezza nazionale in generale e, in particolare, delle capacità operative dei nostri militari; (c) una riduzione controproducente degli occupati nell’industria militare e nella domanda di ricerca nell’area delle tecnologie innovative. Tipicamente, tutti gli stati cercano di moltiplicare la loro forza nazionale attraverso alleanze a cui danno qualcosa per ottenere qualcosa altro. L’interesse nazionale è ben esercitato quando si sceglie un alleato utile e con cui lo scambio può essere favorevole: ti do un po’ in cambio di molto di più. L’Italia ha come alleato principale – talvolta scomodo, ma mediamente vantaggioso - l’America per cui è prezioso il contributo di capacità militari integrative sia nell’area mediterranea sia, nel futuro, in quella globale in base alla nuova dottrina statunitense di superiorità strategica nel mare e nell’aria, con fuoco sul contenimento della Cina e sul presidio dell’Africa. Ciò significa che, per poter chiedere in cambio vantaggi, l’Italia dovrebbe rendere disponibili sia per il sistema Nato sia per coalizioni selettive con l’America mezzi aereonavali, più marines e forze speciali, perfettamente interoperabili con quelli degli alleati. Tali risorse dovrebbero avere una certa numerosità per giustificare un (sub)comando nazionale – fattore importantissimo - entro le missioni di coalizione ed essere impiegabili sia a raggio regionale sia globale. Tale criterio implica un numero minimo di F35, rifornitori, elicotteri, droni, navi portavelivoli e per operazioni anfibie, nonché di fanti di marina e di forze speciali con diverse specializzazioni, ecc.. Se non si rispetterà tale numero minimo, allora l’Italia avrà meno peso agli occhi dell’alleato principale e non potrà chiedere vantaggi rilevanti. Esempi di questi: accesso dell’industria italiana al perimetro di procurement del Pentagono; facilitazione politica per investimenti esteri in Italia, difesa dell’Italia contro gli intenti predatori di Francia e Germania, ecc. In sintesi, se si tagliasse quanto ipotizzato, l’Italia andrebbe sotto la soglia di rilevanza ed il residuo di spesa militare non avrebbe un ritorno. Cioè, per risparmiare 10 si perderebbe 100 e il costo residuo avrebbe incidenza maggiore. Va aggiunto che l’Italia trae grande vantaggio dalla messa a disposizione di truppe capaci e rispettate per l’Onu. Ma la loro capacità ed addestramento sono derivate della partecipazione con massa critica ad un sistema evoluto di interoperabilità nell’ambiente Nato. Va anche aggiunto che l’Italia è uno dei massimi produttori innovativi ed esportatori di armi al mondo. In questo settore l’etica non consiste nel fare o meno armi, ma nel poter scegliere a chi darle e a chi rifiutarle. Il profilo etico dell’Italia ora è buono perché nel sistema di alleanza occidentale (coproduzioni) e con una forza armata nazionale con scala tale da reggere una buona domanda almeno di “volano” iniziale per i singoli sistemi, la nostra industria nazionale può rifiutare di dare armi a gente strana. Portare sotto soglia questa capacità implica costringere la nostra industria o a chiudere oppure a vendere a chiunque con incremento del rischio reputazionale per la nazione. In conclusione, è meglio tagliare la spesa dove l’impatto è minore e preservare la capacità militare italiana.

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