S’è già trovato il termine che descriverà l’effetto di un governo di centrosinistra che promette di durare due o tre anni: “degeopoliticizzazione” dell’Italia.
Il governo di Silvio Berlusconi, dal 2002 in poi, aveva reintrodotto Roma nelle mappe della grande geopolitica mondiale. Nella spaccatura
venutasi a creare tra eurasiatici ed euroatlantici, il ruolo del nostro paese fu decisivo per la vittoria degli euroatlantici, isolando la Francia e la Germania. Proprio per questa assunzione di responsabilità il nostro paese divenne più importante e rispettato nell’Unione europea. L’azione di inclusione nell’occidente e in Europa sia di Mosca sia di Ankara fu un segnale intelligente lanciato ai Grandi, un segnale che diceva: quando si decidono le cose importanti a livello di politica internazionale, l’Italia deve essere consultata, e non esclusa.
Il buon rapporto del governo Berlusconi con lo stato di Israele portò, poi, l’Italia alla soglia di un tale livello di partnership europea nei confronti degli Stati Uniti d’America e di influenza dell’area mediterranea da impensierire seriamente il Regno Unito che riteneva acquisita definitivamente per sé questa posizione. Non è escluso, per esempio, che gli attacchi a Berlusconi da parte di testate come l’Economist, e di altri protagonisti del mondo finanziario, siano dovuti alla percezione da parte dell’establishment inglese che Roma stava diventando un temibile competitore intraoccidentale di Londra.
Ma ora il governo di centrosinistra certamente non vorrà mantenere questa politica di alto profilo e di netta scelta di campo, e, probabilmente, questo farà implodere il valore geopolitico acquisito dall’Italia. Inoltre, il nuovo governo di Roma non si opporrà più all’interesse francese di dominare le risorse italiane cruciali (banche, armi ed energia) per aumentare la sua capacità di ilanciamento del riemergente potere della Germania in asse con gli Stati Uniti. Romano Prodi ha un relazione speciale con Parigi, e buona parte del suo governo sarà fatta da gente che ha preso la edaglietta dall’Accademia di Francia. La sinistra, inoltre, non favorirà l’impegno italiano di polizia internazionale, anzi. I prodromi di questo disimpegno già si vedono nelle polemiche, scatenatesi dopo i due attentati mortali di Nassiriyah e Kabul, sulla presenza dei nostri soldati in Iraq (e questo era scontato) ma anche in Afghanistan.
In sintesi, questa rubrica intravede il rischio di un indebolimento generalizzato dell’intero occidente causato dal cambio di collocazione internazionale dell’Italia. Ma il danno resterà riparabile. Sarebbe, invece, irreparabile l’attuazione dell’idea che alcuni a sinistra coltivano. L’idea, sponsorizzata da interessi esterni, di rinunciare a una industria nazionale degli armamenti e alla partecipazione al programma Joint Strike Fighter voluta, a suo tempo, dall’occidentalista Beniamino Andreatta. Abbandonare questo progetto non vuole dire solo venir meno alla progettazione di un aereo, ma uscire da un sistema interoperabile che connette tutti i membri “veri” della Nato. Il non farne parte implicherebbe l’uscita di fatto dall’Alleanza atlantica. Cedere, eventualmente e come si vocifera in certi ambienti, Finmeccanica ai francesi significherebbe rinunciare a sedersi ai tavoli che contano, tavoli ai quali invece oggi ci si siede e si contratta. Come evitare almeno queste due fesserie irreparabili? Non è una minaccia, è una previsione, ma se si farà tentare da queste scelte il governo cadrà subito. Quindi al centrosinistra conviene mettere un serio occidentalista al ministero della Difesa.