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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2007-4-24La Voce di Romagna

2007-4-24

24/4/2007

Poco lievito ma tanta furbizia

 Difficilmente gli aderenti al nuovo Partito Democratico potrebbero accettare di chiamarsi “piedini”. Democratici, poi, lo sono un po’ tutti. “ Piadini” potrebbe essere un nome azzeccato evocando – ebbene sì – la vostra amata piadina cari amici dell’esarcato. Infatti il Pd è come un pane senza lievito. E a destra come dovrebbe chiamarsi la nuova formazione che sarà probabilmente stimolata, per reazione simmetrica, dalla novità dall’altra parte? “Baguettoni”, qualora dovesse emergere la leadership di Fini, non più “pan nero” e anche sarkozyano per giunta, “sfilatini” se dovesse prevalere Casini. E se resta Berlusconi? Ne parleremo, vediamo prima cosa c’è dentro la piadina.  

Un partito senza lievito è comunque un oggetto meritevole di analisi perché la politica richiede sempre forme forti di rappresentanza. Ma cosa sarà? Idee risolutive e futurizzanti certamente no. Il riformismo moderato di sinistra, in sostanza, tende a mantenere lo Stato sociale semplicemente adeguandolo alle circostanze. La sua differenza con la sinistra più radicale e comunista è proprio il riconoscimento del fatto che per rendere sostenibile l’assistenzialismo ed il tassismo che finanzia la mano pubblica bisogna trovare un compromesso con il “mercato” perché se no manca la creazione di ricchezza poi da ridistribuire. Comunisti e socialisti lirici, invece, pensano che la ricchezza si possa ridistribuire senza crearla. Ma hanno un valore terapeutico: chi resta poveraccio nella sua vita trova una teoria politica, per altro falsa oggi anche se vera nel passato, che spiega quanto il fallimento sia dovuto ai cattivi capitalisti e ad un mondo ingiusto e non alla singola responsabilità personale. Da qui la forza e l’identità della sinistra: l’invidia sociale ed il rivendicazionismo, per esempio la dottrina del “risarcimento sociale” adottata da Rifondazione comunista. Senza tale identità non c’è sinistra. Aggiungete poi che nel compromesso tra Stato e mercato il secondo esige efficienze che rendono impossibili eccessi di generosità da parte del primo. Una sinistra senza capacità terapeutiche e di spesa pubblica, evidentemente, non può essere una “sinistra” con idee forti. D’altra parte la sinistra forte, in Italia, non ha la maggioranza elettorale perché prevale un ceto medio piuttosto grasso. Forse qui c’è la risposta. Parte di tale ceto fa i soldi rischiando sul mercato e si fa rappresentare – pur in modo deludente – dal centrodestra un pelino liberalizzante. Ma una parte numericamente simile è fatta da impiegati pubblici e dipendenti interessati al mantenimento delle garanzie sindacali e ad un contratto del tipo: ti pago poco ma non ti chiedo di lavorare molto. Questa gente ha l’interesse che resti uno Stato sociale gonfio di burocrazia e di diritti economici senza requisito di produttività, ma anche che qualcuno lavori sul serio per creare ricchezza e pagare le tasse che poi finanziano 5,2 milioni di persone e relative famiglie che vivono direttamente o indirettamente di denaro fiscale. Ecco l’idea forte: un partito che rappresenti gli interessi di chi vive nel perimetro della spesa pubblica. E che per farlo non aumenta lo statalismo, per non uccidere il mercato che fornisce i soldi, ma lo mantiene come è adesso. Non è un’idea forte, ma è furba. Tolto il vestito rosso resta la sostanza rossa: vivere sulle spalle degli altri. Non saranno più comunisti, ma per me, anche imprenditore e non solo professore, che devo lavorare 12 ore al giorno senza ferie e feste ed in più mi tocca pagare tasse da salasso restano Gambadilegno e la Banda Bassotti. Topolino, ci sei ancora?   

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