Va apprezzata, ed è motivo di ottimismo, la scelta di rendere pubbliche, e non più riservate, le linee guida del negoziato in atto tra Ue e Stati Uniti per la creazione di un’area comune di libero scambio, denominato TTIP (Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti). Tale mossa di trasparenza, infatti, avvicina di più il negoziato alla realtà politica, cioè all’esame del consenso che permette di capire cosa possa essere realizzato subito, cosa nel tempo e cosa debba restare fuori dal perimetro degli accordi. Finora la trattativa TTIP, avviata nell’estate 2013 ed ora in attesa di entrare nei contenuti dopo aver definito il metodo, ha sofferto di un alone di mistero che ha permesso agli interessi contrari di esagerare i pericoli della sua applicazione. La trasparenza, invece, fa vedere che lo schema di trattativa incorpora già una selezione pragmatica di quali settori potranno essere oggetto di mercato unico (standard comuni), o di semplice riduzione delle barriere doganali (schema di libero scambio) oppure dovranno essere esclusi. Ma, soprattutto, permetterà di calibrare e rendere evolutiva l’integrazione in base a ciò che le nazioni sentono di poter accettare in base ai loro interessi ed al consenso interno. Ed a iniziare valutazioni costi/benefici: le analisi convergono nell’ipotizzare un beneficio di circa 100 miliardi di euro in più all’anno sia in America sia nella Ue se il TTIP andasse a regime. Si tratta di circa l’1% in più del Pil annuo per ambedue, una cifra enorme. Per inciso, questi numeri furono inizialmente individuati da uno studio congiunto della tedesca Fondazione Bertelsmann e dell’inglese British Council, nel 2013, che sottolineò come il beneficio atteso dal TTIP fosse piuttosto omogeneo sia nell’insieme di Stati europei sia in quello degli Stati che formano gli Stati Uniti. Tale risultato ha fatto pensare che questa ricerca fosse un po’ troppo orientata a creare il consenso sia nel Congresso americano, sia nei Parlamenti nazionali europei (la Commissione europea ha il mandato dai governi di siglare gli accordi tecnici, ma sono poi i governi che li confermano ). Il mio gruppo di ricerca ha voluto vederci più chiaro, con metodi di simulazione evoluti, ed è uscita una sorpresa: il beneficio, secondo una prima stima, è molto maggiore per le due sponde anche se meno omogeneo a livello di territori locali e di settori economici. Ma l’ottima notizia per noi è che in tutte le stime disponibili la formazione di un mercato euroamericano darà il vantaggio economico principale all’Italia. Come mai? Materia molto tecnica, ma è facile intuire, per esempio, che una piccola impresa con poche risorse per l’internazionalizzazione trovi più agevole operare sul mercato statunitense se configurato senza barriere doganali e con standard di prodotto uguali, cosa che ora non è. Lo approfondiremo quando sarà possibile raffinare le stime, nonché i costi, ma già adesso mi sento di scommettere che qualsiasi analisi futura mostrerà benefici elevati per tutti. Per altro un tale risultato è predetto dall’insieme di teorie economiche che meglio ha resistito all’esame della storia: il solo allargare il mercato, eliminando barriere, frontiere e diversità di standard, comporta un aumento della crescita. In sintesi, la costruzione politica di un’area di mercato, tra nazioni compatibili, è un moltiplicatore sistemico di ricchezza. Ciò introduce una soluzione esterna della crisi sia in Italia sia nell’Eurozona: creare il mercato unico euroamericano per aumentare i volumi di crescita nonostante l’inefficienza del sistema. Ma come evitare che il TTIP sia bloccato da dissensi protezionisti? La trasparenza, per prima cosa,permette di valutare realisticamente un problema di concorrenza o di impatto negativo. Nei settori dove tale problema è insuperabile, l’accordo si pospone. In quelli dove è più facile, ci si accorda. La Comunità europea, dai primi anni ’50 al 1989, fu costruita con un simile metodo pragmatico, definito “funzionalista”. Allo stesso modo il TTIP andrebbe negoziato non come accordo in blocco, ma come uno evolutivo dove si inizia con alcuni settori per poi includerne altri gradualmente. Spero che tale formato più pragmatico e meno vulnerabile a dissensi settoriali prenda piede e mi sento ottimista. Sono preoccupato, invece, dal fatto che la Germania sia ricattata da Cina e Russia, escluse dal TTIP perché non-democrazie, affinché lo saboti. Mi preoccupano, sul lato statunitense, l’isolazionismo dell’estrema destra ed il protezionismo della sinistra sindacale. Ma ho fiducia nel fatto che gli attori politici vedano la prevalenza del vantaggio nel creare il mercato atlantico: (a) più ricchezza diffusa e meno disoccupazione; (b) convergenza tra euro e dollaro come conseguenza del mercato integrato, cosa che salverebbe il primo, in prospettiva, ma anche il secondo; (c) compattazione dell’Occidente e suo rilancio come potere economico, militare e tecnologico prevalente a livello globale.