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Carlo A. Pelanda
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Libero

2016-7-31

31/7/2016

La pausa nel rigore europeo non riduce i rischi

Le autorità europee hanno preso una posizione molto morbida e silenziosa per evitare che la loro intrusione nelle nazioni aumenti i già ampi dissensi contro il modello europeo. Ma a tale pausa corrisponde anche una sospensione del processo per migliorare e rafforzare il modello europeo stesso. Pertanto dovremmo valutare, sia per l’interesse italiano sia per quello del sistema complessivo, se tale scelta sia un vantaggio o meno. Spagna e Portogallo, in una situazione politica interna difficile, non sono state sanzionate per lo sfondamento del deficit concordato, ma l’euroaccordo Fiscal Compact che impone riduzioni del debito in tempi e modi depressivi resta in vigore, una “spada di Damocle” che oscura il futuro di tutti, Italia in particolare. Austria, Ungheria, Polonia, Slovacchia e altri non ricevono più richiami espliciti a rispettare l’accordo europeo di condivisione dei rifugiati per evitare che nei prossimi eventi elettorali prevalga il nazionalismo chiusista o la voglia di imitare la Brexit. Ma il problema di come gestire i migranti rimane aperto e destabilizzante. Nei confronti della Grecia la posizione europea appare più morbida, ma non mostra segni di aiutarla a uscire dall’agonia. Il caso del salvataggio di Monte Paschi mostra che le autorità europee preferiscono aiutare sottobanco un governo a forzare, in modi quasi autoritari, soluzioni di mercato piuttosto che ammettere deroghe alla regola che vieta aiuti di Stato, considerando che un fondo statale di garanzia cancellerebbe i dubbi sul sistema bancario italiano. Invece tali dubbi resteranno nonostante le rassicurazioni. Come valutare? La pausa europea appare come una scelta di realismo pragmatico: riduco i rischi nel presente e non mi preoccupo se li aumento nel futuro. Da un lato è comprensibile. Per esempio, una minore pressione del rigore europeo su una Francia a crescita zero e debito crescente, a rischio d’isteria collettiva per i problemi di sicurezza, è un modo per contenere nel breve termine l’impoverimento e i consensi a favore del lepenismo nelle elezioni della primavera 2017. Dall’altro, mostra una debolezza impressionante: il consenso impone che l’Europa sparisca dalle cronache. Sarebbe meglio un attivismo europeo migliorativo? Certamente, ma nell’autunno 2017 ci saranno le elezioni politiche in Germania, dove l’elettorato è in maggioranza ostile a cambiamenti delle euroregole che rendano meno depressiva l’Eurozona. Quindi è razionale la pausa intesa come scambio tra minori intrusioni e rinuncia a tentare modifiche formali del sistema? Solo in parte. Sarebbe meno pericolosa una scelta pragmatica mixata, però, con alcuni elementi di realismo strategico, cioè prendere rischi adesso per minimizzarli nel futuro, avviando iniziative forti ed europeizzanti almeno in due settori chiave: sicurezza e Unione bancaria. Senza un’europeizzazione della sicurezza è impensabile che le singole nazioni riescano a garantirla ai propri cittadini. Per il nostro interesse nazionale, ma anche sistemico, sarebbe fondamentale accelerare l’Unione bancaria nell’Eurozona, prevista dai trattati, perché porterebbe a una garanzia di fatto sul debito italiano. C’è un’evidente relazione tra solvibilità di una nazione e le banche residenti che implica eurosostegni nel caso il nostro debito tornasse sotto attacco, evento probabile quando la Bce ridurrà il programma di acquisto degli eurodebiti, probabilmente nel 2017, che sta proteggendo il nostro. In conclusione, mi sembra razionale per l’Italia aderire alla pausa europea, ma chiedendo in cambio l’europeizzazione attiva e rapida dei sistemi di sicurezza interna e di quello finanziario. In termini di agenda governativa, ciò significherebbe rinunciare all’invito inoltrato da Roma a Parigi e Berlino di fare un evento rumoroso a breve di rilancio e riforma dell’Ue, per altro senza risposta, ma puntare a celebrare in occasione del 60° anniversario del Trattato di Roma nel 2017 almeno due europeizzazioni salvifiche per tutti.

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