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Carlo A. Pelanda
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Libero

2013-1-22

22/1/2013

Il mondo abbandona il rigore mentre noi (coglioni) lo manteniamo

Banca d’Italia prevede una caduta del Pil 2013 attorno all’1%, ipotizzando l’inversione della recessione a metà anno, ma con una probabilità di solo il 50%. Ciò significa, semplificando, che potrebbe andare peggio. Se accadesse, l’economia italiana, poiché in rapido impoverimento, avrebbe meno margini di resistenza e nel 2014 rischierebbe il cedimento finale. Il mio gruppo di ricerca – più americano che europeo - ritiene che l’Italia andrà meglio (meno 0,5% nel 2013) perché assume che il futuro governo dovrà fare quello che stanno facendo tutti gli altri nel pianeta: abbandonare la priorità del rigore per sostituirla con quella della crescita. Le Banche centrali americana, nipponica, britannica, ecc., stanno prendendo più rischi sul lato dell’inflazione, ponendo esplicitamente come obiettivo della politica monetaria la riduzione della disoccupazione e non il contenimento dell’inflazione (entro limiti, ovviamente). Infatti dollaro, yen ed altri vengono pilotati al ribasso per pompare l’export via svalutazione competitiva. I governi di destra tagliano spesa e tasse (Regno Unito) e quelli di sinistra rimandano il pareggio di bilancio per mantenere una spesa in deficit elevata (Francia) o aumentano il tetto del debito (America). Il Giappone sta mollando tutto il mollabile nonostante un debito verso il 250% del Pil. In sintesi, il mondo ha deciso di uscire dalla crisi via inflazione. Ma ho avvertito i miei ricercatori che Germania e Italia restano ancorate alla priorità del rigore, loro sconcertati dalla scelta italiana e convinti che alla fine anche Berlino mollerà. Vedremo, ma ora non molla e per questo l’Eurozona resterà un ambiente depressivo complicato da un cambio dell’euro troppo elevato e de-competitivo per l’ossessione tedesca di azzerare così, al costo di più disoccupazione, l’inflazione importata. I contenuti della campagna elettorale italiana sono perfino surreali. I partiti dovrebbero competere per soluzioni stimolative post-rigore che facciano finire la crisi, ma tutti hanno offerte che si rassegnano alla crisi stessa. La sinistra enfatizza l’aumento delle tasse solo per più ricchi, assumendo così una costante mancanza di gettito da compensare con più fisco. Monti sta aggiustando l’agenda con meno enfasi sulle tasse, ma anche lui assumendo che non sarà possibile fare crescita attutendo il rigore, perfino accusando di incompetenza e populismo chi osa dire il contrario (provi ad insultare Abe, Obama, Bernanke, la quasi totalità degli economisti anglofoni, ecc., che hanno abbandonato o mai praticato o sconsigliato eccessi di rigore). Berlusconi è più adeguato ai tempi perché enfatizza i tagli delle tasse, ma li propone in misura irrilevante e senza specificare i tagli alla spesa. L’Italia avrebbe bisogno, infatti, di tagliare subito 50 miliardi di spesa e tasse ed altri 50 in tre anni, per mettere in boom il mercato interno entro il vincolo del pareggio di bilancio (fesseria economica, però necessaria per rassicurare i compratori del nostro megadebito). Ma ciò implicherebbe notevoli tagli al personale pubblico, in particolare nelle Regioni dense di costi inutili, e farebbe perdere voti. In sintesi, nessuna offerta politica dei partiti maggiori ha il coraggio di proporre soluzioni forti e di mostrare la verità: il rigore è fallito, le tasse deprimono. La sinistra dovrebbe fare il suo mestiere offrendo più deficit oltre che il tipico sterminio del ceto produttivo via terrore fiscale, il centro ed il centrodestra il loro proponendo tagli sostanziali a spesa e tasse, in Italia più facili che altrove senza toccare la socialità dello Stato per l’inefficienza cumulata e mai corretta in 5 decenni. Invece tutti sono timidini, rassegnati alla continuità deflazionistica, mentre il resto del mondo ha scelto di prendere rischi con audacia per uscire dalla crisi. Servirà questa nota a stimolare offerte politiche più determinate e coraggiose?

(c) 2013 Carlo Pelanda
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