Rimettere a posto l’Italia è compito degli italiani. Ma senza sovranità monetaria e di bilancio è un compito quasi impossibile. Tornerebbe possibile se la cessione della sovranità economica e monetaria ad un agente europeo – formalmente Bruxelles e Francoforte, sostanzialmente Berlino – fosse bilanciata da un ritorno in termini di flessibilità del bilancio e di politica monetaria stimolativa. Se l’Eurozona fosse costruita in modo serio e con la logica del bilanciamento della cessione delle sovranità nazionali (vedi Pelanda e Savona ”Sovranità e ricchezza”, Sperling, 2001): (a) la Bce potrebbe comprare direttamente i titoli di debito delle euronazioni portando così i rendimenti di tutti verso un minimo ed uguale livello, facendo finire l’assurda angoscia dei rendimenti insostenibili e degli “spread”; (b) un governo eventualmente sano e competente, e non uno che aumenti la spesa pubblica come quelli di Prodi e Tremonti alternatisi dal 1994 al 2011, potrebbe ridurre le tasse per stimolare l’economia accettando per cinque anni un deficit di bilancio elevato che poi sarebbe colmato dalla maggior crescita; (c) se la Bce avesse nel suo statuto anche la missione di stimolare la crescita e non solo quella di contenere l’inflazione, avrebbe la possibilità, operando sui tassi, sulla masse monetarie e sulle eventuali operazioni d’emergenza di monetizzazione del debito pubblico dette sopra, di abbassare temporaneamente il cambio dell’euro, facilitando così sia l’export eurodenominato sia l’attrazione di investimenti e di turismo extraeuropei. Con una ricetta del genere l’Italia non sarebbe ora in recessione, la sua produzione e competitività industriale sarebbe buona, l’occupazione quasi piena. Tale scenario sarebbe sul lato migliore se vi fossero liberalizzazioni, riduzioni e razionalizzazioni della spesa pubblica, deburocratizzazione e una riduzione del debito di almeno il 20% grazie ad un’operazione patrimonio contro debito stesso. Ma anche nel suo lato peggiore, cioè se la nazione restasse irriformata, guidata da politici per lo più inconsistenti, bloccata da un sindacalismo cavernicolo, dequalificata da una burocrazia abnorme reclutata per clientelismo partitico, e non riuscisse a cambiare un modello economico di fatto socialista e quindi depressivo, come succede ora, la sua crescita resterebbe almeno positiva, con minore disoccupazione, deindustrializzazione, ecc. Questo, semplificando, sarebbe l’effetto di un ritorno della sovranità economica ceduta in forma di flessibilità nazionale e di perfezionamento delle istituzioni dell’Eurozona. Ma la Germania non lo vuole. Pretende che ogni nazione rispetti parametri astratti uguali per tutti senza tener conto delle specificità geoeconomiche e storiche nonché dei diversi livelli di sviluppo industriale. E fa così perché non vuole rischiare di trasferire denaro pubblico tedesco nella periferia europea né vuole, soprattutto, che politiche di bilancio e monetarie troppo stimolative creino inflazione. Per tale motivo l’euro è una mostruosità. Per l’Italia una tragedia con una punta di comicità surreale: abbiamo mantenuto la sovranità sul debito, ma la abbiamo ceduta sui mezzi per ripagarlo. In sintesi, l’Italia è ancora ricca e può uscire dai guai senza troppi problemi, ma nella gabbia dell’euro come imposto dai tedeschi c’è il rischio di non farcela. Ora che il governo, e tutti gli europei, mettono in priorità la crescita, bisogna chiarire che non sarà qualche miliardo di investimento in più della Bei a cambiare le cose. Le cose cambieranno veramente se si perfezionerà nella direzione detta lo statuto della Bce e si concederà alle nazioni, entro controlli con bollino blu ovviamente, la flessibilità di bilancio. Roma dovrebbe pretendere questo. E se la Germania rifiutasse, come è probabile, dovrebbe imputarla del crimine di impoverimento dell’Europa. Primo avviso di garanzia a Merkel.