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Carlo Pelanda: 2023-3-25La Verità

2023-3-25

25/3/2023

Aumenta lo stress per la parte debole dell’economia italiana

L’economia italiana, come aggregato misurato dal Pil, sta andando abbastanza bene. Gli scenari delle istituzioni internazionali hanno recentemente revisionato verso l’alto le proiezioni di crescita per il 2023. Il ministro dell’Economia ha fatto capire che si aspetta una crescita verso e forse oltre l’1% del Pil che è allineata alle stime macro del gruppo di ricerca di chi scrive (Stratematica) che a fine 2022 espresse uno scenario di crescita lorda per l’Italia che sarebbe potuto andare da un minimo dello 0,8% ad un massimo dell’1,5% pur nell’ambito di una politica disinflazionistica finalizzata al rallentamento economico nell’Eurozona. Tale ipotesi era basata su un metodo proiettivo che pesava di più il contributo di export e turismo alla crescita, nonché un residuo di rimbalzo post-covid e la previsione di un calo abbastanza rapido dei costi dell’energia, pur lasciando dei punti di domanda sull’inerzia dell’aumento diffuso dei prezzi che c’era stato nel 2022 e sul livello della stretta sia monetaria (tassi) e del credito a famiglie ed imprese, aggiungendo due punti di domanda agli andamenti del settore agricolo minacciato dalla tendenza alla desertificazione e dall’evoluzione di una normativa non favorevole a livello di Ue. Ora la revisione trimestrale di questo scenario non cambia significativamente la proiezione macro per il 2023, ma mostra un rischio crescente sull’omogeneità della crescita italiana: circa il 25% dell’economia potrebbe andare in sofferenza spaccando ancor di più l’Italia tra situazioni ricche e povere. Per tale motivo chi scrive ha chiesto al gruppo di ricerca di analizzare più a fondo la quantità di stress che sta impattando sulla parte debole dell’economia italiana.

 Risultati preliminari. Il modello di analisi include un simulatore che stima l’impatto di fenomeni micro o minoritari in un sistema sulla stabilità del sistema stesso: le linee di tendenza segnalano un allarme giallo pur non ancora rosso, cioè un 10% di crisi forte in relazione a quel 25% individuato sotto stress. Il trasferimento dell’aumento del costo del denaro a quello dei mutui a tasso variabile ha un impatto molto pesante sulla capacità di spesa delle famiglie con reddito medio-basso. Alcuni dati mostrano un adattamento rapido delle famiglie a condizioni avverse via modifica dei consumi, per esempio meno cibi costosi, ma non rinuncia ad altri consumi stessi. Tuttavia, la parte con reddito netto mensile di poco superiore ai mille euro non riesce ad adattarsi in modo bilanciato e, semplicemente, riduce i consumi in modi assoluti. In questo momento dell’anno è difficile precisare quanto sia l’impatto di questo fenomeno sui consumi generali a livello di aggregato, ma è realistico pensare che ci sarà. E che ci sarà un aumento della categoria dei “poveri con stipendio”. Soluzione? Mettere più soldi nelle buste paga (mediamente le più basse in Italia tra nazioni comparabili) riducendo la tassazione alla fonte. Cioè, non innescare una spirale inflazionistica prezzi/salari, ma aumentare i salari togliendo loro una parte del prelievo fiscale. Il governo sta facendo uno sforzo notevole ed apprezzabile per riformare un fisco in modo più equo e meno ostacolante la crescita. Ma ha poco spazio di detassazione disponile nel breve-medio. Quindi? Almeno evitare altri rialzi del costo del denaro da parte della Bce per evitare l’aumento di chi percepisce un salario insufficiente. Possibile? La Bce, pur essendo prevalente nell’Eurozona l’inflazione “da offerta” - per esempio costo dell’energia – ha una postura disinflazionistica come se l’inflazione fosse “da domanda” cioè da surriscaldamento dell’economia e piena occupazione, come in America, cosa che in Europa non c’è. Ma ci sono i programmi assistenziali dei governi, quello tedesco il più massivo, che hanno conseguenze inflazionistiche e danno una scusa alla Bce per denunciare una divergenza tra politica fiscale degli stati e monetaria che legittima la Bce stessa a spingere in recessione tutto il sistema. Ma facendo bene i calcoli si trova che c’è un fenomeno di disinflazione spontanea (la riduzione dei costi energetici) che dovrebbe suggerire alla Bce la non necessità di alzare ancora il costo del denaro e probabilmente che ha esagerato, posizione di Banca d’Italia. Se ciò avvenisse, la moderazione del costo di rifinanziamento del debito e la messa fuori deficit statale della spesa per investimenti sistemici (sostenuta dal governo in sede Ue) aumenterebbe lo spazio fiscale italiano e permetterebbe la detassazione sulle buste paga.   

Sul piano delle unità produttive, le piccole e dipendenti dal solo credito bancario mostrano segnali di stress sul piano del capitale di lavoro. Molte di queste, oltre che per la flessibilità adattiva dell’imprenditoria italiana, riusciranno a sopravvivere perché inserite nell’indotto delle aziende più grandi e internazionalizzate. Ma una parte potrebbe non farcela anche perché non è riuscita ad adeguarsi alla rivoluzione tecnologica in atto. Sul punto è urgente un censimento specifico per capire le contromisure. Chi scrive preferisce la soluzione di incentivare il grande a comprare il piccolo, nei casi in cui il secondo non abbia un destino di continuità, per preservare l’occupazione ed avere i mezzi per la formazione riqualificante. Il Pnrr? Ha una media rilevanza per lo sviluppo futuro, ma non risolve i problemi delle piccole unità economiche e delle famiglie deboli nel breve. 

In conclusione, mentre si spinge una nuova stagione di investimenti e riforme sia nazionali sia europee che aumentino lo sviluppo dell’economia italiana bisogna anche pensare a riparare la sua parte di più debole.

www.carlopelanda.com            

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