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Carlo Pelanda: 2022-7-9Verità and Affari

2022-7-9

9/7/2022

In Italia c’è un salvadanaio magico non sfruttato

I dati disponibili a chi scrive non solo mostrano che circa 1.500 piccole aziende italiane con ricavi dai 30 ai 70 milioni potrebbero già quotarsi in Borsa o ricevere investimenti privati, ma anche promettono una forte crescita futura se caricate di più capitale. In realtà questi potenziali campioni nel manifatturiero raffinato e nei servizi evoluti sono molti di più, ma hanno bisogno di una riconfigurazione aziendale prima di essere presentabili alla finanza di investimento. Unendo il potenziale già tangibile e quello che potrebbe attualizzarsi nel giro di 3-5 anni, la stima del complesso delle aziende promettenti è tra le 5 e le 6mila. Ciò vuol dire che in Italia c’è un grande “salvadanaio magico” potenziale dove metti un euro in un’impresa e ne ottieni tre o quattro. Ma questo potenziale non appare ancora sfruttato. Per chi scrive questo è un dato di cronaca: proprio nel momento in cui prevale il timore di un rallentamento economico dovuto ad inflazione, scarsità, rischi ambientali e geopolitici la notizia importante è quanta ricchezza potenziale si potrebbe trasformare in reale e non quanta crisi ci sia.

Infatti il governo sembra iniziare a muoversi per facilitare le quotazioni così come ha già tentato di indirizzare l’enorme risparmio italiano, secondo o terzo nel mondo, verso impieghi nell’economia nazionale cercando di correggere una situazione che ha dell’incredibile: solo il 5% viene investito in asset italiani. Per esempio, i Pir fiscalmente agevolati. Ma si è lontani dall’ottenere un risultato con effetti sistemici. Pertanto va spinta un’altra leva: una cultura imprenditoriale (e manageriale) che veda più decisamente gli aspetti di finanziarizzazione dell’impresa. Al riguardo, è osservabile un’iniziale tendenza dell’imprenditoria italiana ad aprire il capitale per incrementarlo attraendo investitori, in particolare nel private equity, settore dove opera chi scrive. Ma il movimento è ancora piccolo, non solo per la scala minima del mercato dei capitali, cioè l’offerta di capitali di investimento, ma anche per la piccola quantità di domanda di tale capitale: le piccole imprese, ancora in forte maggioranza, tendono a restare famigliari e dipendenti dal credito bancario con ostilità verso Borsa, private equity, fusioni, ecc. Tale situazione non è solo una perdita di opportunità, ma anche un pericolo nel necessario cambiamento generazionale. Negli ultimi mesi chi scrive ha avuto contatti multipli con imprenditori anziani e meno alla guida di imprese in bonis e notevole potenziale di ulteriore sviluppo. Dai colloqui con gli anziani è emersa (a) la difficoltà a capire che l’andare in Borsa o aprire la maggioranza del capitale ad investitori serve a valorizzare il valore di avviamento, rinnovandolo e ampliandolo; (b) la difficoltà a far uscire familiari inadatti dalla gestione aziendale, collocandoli eventualmente nella holding; (c) la difficoltà a farsi aiutare, cedendo ruoli operativi, da manager evoluti; (d) la difficoltà a mettere in ordine l’amministrazione.

Dai colloqui con meno anziani è emersa (e) una paura esagerata per la condizionalità percepita a seguito della quotazione; (f) la ritrosia a rivolgersi a fonti di capitale esterne ritenendole invadenti e controproducenti; (g) la valutazione errata di quello che possono e non possono fare gli istituti di credito; (h) in alcuni casi, la reticenza a passare da terzista (potendo, volendolo) ad azienda con marchio proprio.  Ovviamente queste conversazioni non sono un campione rappresentativo, ma segnalano alcuni punti di necessaria trasformazione della cultura di impresa per attivare l’effetto “salvadanaio magico”.  Va enfatizzato, al contrario, che un numero crescente di imprenditori capiscono bene che per sviluppare l’azienda devono aprire il capitale e managerializzarla. Così come un numero crescente di imprenditori ha ben chiaro che per ottenere capitale di sviluppo il modo migliore è chiederlo alla Borsa, rispettandone i requisiti. Il che porta l’analisi verso le facilitazioni che incentivano la quotazione, allo scopo di combinare evoluzione culturale degli imprenditori verso la finanziarizzazione della loro azienda e vantaggi della quotazione stessa. In materia, di competenza del governo e delle istituzioni garanti del risparmio, non c’è qui spazio per i tanti dettagli, ma emerge una valutazione di sintesi: troppo freno e poco acceleratore. Per esempio, un grande incentivo sarebbe quello di una detassazione sostanziale per almeno 5 anni per chi si quota.

Un pensiero deve andare anche alle start up italiane: ce ne sono di eccezionali. Se fossero a contatto con il mercato dei capitali, per dire, statunitense potrebbero già essere “unicorni”. Infatti alcune si muovono verso Londra o New York. Come aiutarle in Italia? Il modo più semplice è quello di favorire una presentazione di tutte, non ancora quotate, su una piattaforma dedicata che funzioni come finestra sul mondo degli investitori globali. Questa potrebbe diventare un’iniziativa extra-Borsa italiana, capace di servire anche start up di altre nazioni. E trainerebbe anche un’evoluzione del rapporto tra Università-innovazione-aziende: è stato facilitato negli anni recenti, ma dovrebbe essere totalmente liberalizzato. Così al “salvadanaio magico” si unirebbe una nuova miniera d’oro: il capitalismo cognitivo.

(c) 2022 Carlo Pelanda
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