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Carlo Pelanda: 2022-1-30La Verità

2022-1-30

30/1/2022

Prepararsi per cambiare i parametri Ue nel 2023 valutando il vantaggio computazionale dell’Italia

Tra le missioni del governo nel 2022 ce n’è una ora poco appariscente ma che nel 2023 diventerà priorità: l’aggiustamento delle norme europee in materia di ordine finanziario degli Stati membri dopo la loro sospensione nel biennio 21-22. Sarà – e lo si vede già nei passi preliminari della Conferenza sul futuro dell’Europa e nelle pressioni correnti per ratificare il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) – una partita molto impegnativa per l’Italia, punto chiave per il suo sviluppo futuro, che richiede una preparazione sia tecnica sia (geo)politica adeguata nel corso del 2022 stesso.

Il governo Draghi ha cercato di strutturare la linea geopolitica di tutela degli interessi italiani attuando una convergenza forte con la Francia – che da molti anni non rispetta i parametri europei sul deficit, per concessione della Germania, e il cui debito pubblico sta volando ben oltre il 100% del Pil – per contrapporre un blocco forte di co-interessenze flessibiliste al rigorismo. Nel Trattato del Quirinale l’Italia ha dovuto pagare un prezzo alle mire di conquista francesi, ma non eccessivo: è solo una lettera di intenti, eventualmente da confermare selettivamente o non tenerne conto in base ai comportamenti francesi nel prossimo futuro. Vanno valutati positivamente anche i rapporti bilaterali con la Germania, ma questi non potranno mai arrivare al punto di concedere all’Italia uno spazio di aggiustamento non recessivo della sua finanza pubblica: se i partiti del nuovo governo tedesco lo facessero perderebbero le elezioni interne. Qualcosina si potrà attutire perché il governo Scholz dovrà ricorrere al debito per finanziare un ambizioso programma di modernizzazione, ma già dalla Germania provengono calcoli secondo i quali la nazione potrà estrarre tante risorse da riserve sovrane. Inoltre, la Francia non potrà mai rischiare di compromettere la relazione bilaterale con la Germania: al massimo potrà ottenere deroghe per sé – bisogna vedere il risultato delle elezioni presidenziali di aprile - ma non anche per l’Italia. In sintesi, la strategia di convergenza con la diarchia europea è una linea intelligente (per necessità) ma non produttiva da sola di una collocazione comoda dell’Italia nell’Ue sul piano economico.

Bisogna allora confidare sulla Commissione che deve operare mediando i diversi interessi? Un po’ sì perché l’Italia è azionista non piccolo della baracca, così come lo è in modo più rilevante della Bce, ma non tanto. Basta, infatti, osservare la condizionalità con cui concede i finanziamenti del programma Recovery - Next Generation Eu alle nazioni (eseguito nazionalmente da un Pnrr euro-addomesticato). Non è un Europa generosa, ma una che concede qualcosina in cambio di una convergenza totale e comunque il più a debito che dovremo ripagare, con la complicazione che la condizionalità è conforme a criteri diversi da quelli che sarebbero in priorità per l’Italia, per esempio riempirla di colonnine di ricarica per le auto elettriche per finanziare i mezzi prodotti dall’industria tedesca e francese. Per inciso, resta scandaloso il fatto che l’Asi abbia trasferito all’Esa circa 60 milioni come pagamento di un servizio che l’Asi stessa ha dichiarato di non riuscire ad eseguire come stazione appaltante per i soldi europei ricevuti. Con quei 60 milioni si sarebbero finanziate decine di eccellenti, ma sottocapitalizzate, start-up spaziali italiane (alcune infatti in emigrazione verso l’America).     

Ma la colpa non è della Commissione o di Francia e Germania perché fanno il loro mestiere: costruire un impero dove l’Italia è vassalla. La colpa è del personale politico italiano, con rare eccezioni, che non mette sul tavolo negoziale criteri sistemici di ordine finanziario-economico per riformare i parametri europei. Infatti, sorpresa per i non tecnici, se l’Ue usasse un criterio sistemico di stabilità, l’Italia sarebbe una nazione virtuosa. Semplificando: a) il debito pubblico è elevato, ma quello privato è tra i più bassi del mondo comparabile; b) il saldo commerciale è più che positivo grazie ad una capacità enorme di export; c) il risparmio delle famiglie è (fin troppo) elevato così come la loro patrimonializzazione (case in proprietà). In sintesi, l’azienda Italia ha una Posizione finanziaria netta (Pfn) positiva. Ma poiché il debito pubblico è sovra-pesato nei parametri europei, l’Italia appare come instabile e finanziariamente debole. Pertanto la preparazione per ridiscutere i parametri, da cui derivare le soglie di deficit e debito ammesse, va preparata proponendo il criterio sistemico della Pfn, cosa non facile perché tanti altri europei non risulterebbero virtuosi pur avendo meno debito pubblico, ma che comunque va proposta con forza per migliorare la posizione negoziale dell’Italia. Tecnicamente è possibile, ma il sistema politico italiano dovrebbe sprovincializzarsi e dotarsi di un Consiglio per la sicurezza nazionale, tra cui quella economica, capace di coordinamento strategico.  Domenico Lombardi e lo scrivente, nel 2011-12, fecero una battaglia nelle stanze tecniche del Fmi a Washington per impedire la classificazione dell’Italia tra i Piigs a rischio di insolvenza, sventolando i dati sistemici detti. Ma l’Italia non fece pressioni politiche e così gli altri interessati a predarla o a comprimerla o a imputarla ebbero campo libero nonostante i pareri tecnici che ci davano regione. Ormai è successo e ha causato un olocausto economico in Italia nel 2012 - 15, ma non deve succedere più, in particolare nelle stanze dell’Ue.    

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