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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2003-2-17L' Arena,
Giornale di Vicenza,
Brescia Oggi

2003-2-17

17/2/2003

La Framania frena l’Europa

L’Europa si trova in una difficile situazione politica che potrebbe compromettere la solidità dell’eurozona. Il problema non è tanto quello dell’impatto economico dei venti di guerra: l’eurozona li sente in negativo come qualsiasi altro nel mercato globale, un po’ peggio per la debolezza strutturale del modello, ma non c’è nulla di così specifico da giustificare un allarme solo per noi. Se il mercato globale, in caso di rapida bonifica dell’Irak o di suo credibile disarmo, tornerà su noi andremo benino, se andrà male – incertezza perdurante o attentati destabilizzanti - sarà dura per tutti. Il problema specifico europeo, invece, riguarda il fatto che siamo in fase di costruzione dell’architettura politica per un mercato unico. Cioè in un periodo in cui l’unità politica è essenziale per costruire le regole del futuro sistema economico. Qui la divisione potrebbe avere un effetto devastante e lasciare la costruzione a metà con la complicazione di una moneta unica che richiede assolutamente il completamento di un solidissimo condominio. Valutiamo questo secondo problema esploso negli ultimi due mesi.

La frammentazione dell’Europa tra Framania e quasi tutto il resto non è nata in relazione alla posizione sulla guerra contro l’Irak. E’ cominciata prima con la di poco precedente riedizione dell’asse franco-tedesco, per motivi tutti intraeuropei, e la sua pretesa di guidare in forma diarchica sia Unione Europea sia l’eurozona. Il messaggio è stato scioccante. Tale diarchia, inaugurata negli anni ’60 in forma debole, è stata accettata dal 1996 al 1999 nella sua forma forte (acordo Mitterand – Kohl) perché senza una guida decisa non sarebbe stato possibile gestire tutti gli strappi necessari per fare l’euro. Ma ora serve ben altro modello: ogni nazione deve saper rinunciare ad un pezzo della sua sovranità ed interesse nazionali a favore di un bene comune. Quindi il messaggio costruttivo sarebbe stato quello di proclamare una nuova stagione ed impulso cooperativi, la cui base – qui il punto - deve essere per forza l’eguaglianza tra nazioni senza nessuna che voglia dominare le altre. E dove si sperimenta una novità. Se una nazione ha un problema per cui non può adeguarsi all’interesse europeo la si incentiva a non usare la sua sovranità per bloccare il tutto, ma a cedere trovando tutti gli altri il modo di aiutarla. Si chiama modello della "sovranità bilanciata" o delle "sovranità consensualmente convergenti". Tu nazione resti sovrana per essere responsabile di quello che succede a casa tua, ma orienti la tua sovranità stessa per far parte di un tutto, cedendo quella che serve ed interessi relativi. Quando hai problemi, invece di riprenderti la sovranità in forma difensiva (blocco di regole europee, chiusure di mercati, ecc.) hai il diritto di essere aiutata, cioè che il tuo interesse compromesso venga "bilanciato" da un vantaggio, dagli altri partner. Questo schema serve per trovare soluzioni ai problemi nazionali di integrazione che non modifichino la convergenza europeizzante. Di fatto, tale modo di procedere sarebbe il precursore di un futuro confederalismo che implica un conferimento vero e proprio delle sovranità ad un entità sovranazionale. Senza la quale non si capisce come si potrà governare un sistema a moneta unica. Non è linguaggio facile, me ne scuso, ma penso comprensibile per la sensatezza in relazione allo scopo di avere presto e bene (un decennio) un unico sistema europeo.

Ma di colpo Francia e Germania hanno dichiarato, come cinghialoni in un negozio di cristalli, che le sovranità che contano in Europa sono le loro, le altre meno. Immediatamente le altre nazioni hanno preso atto di questo atto nazionalista e sono rientrate nella solita logica dell’interesse nazionale con pochi cedimenti cooperativi e solo se serve. Con questo, in sintesi, voglio dire che la frattura ha rotto il pur timido avvio del modello delle sovranità convergenti. L’ulteriore divisione sulla questione atlantica ha avvelenato gli animi, ma non ha aumentato il danno già fatto. E adesso?

Semplice, l’Europa resta così come è. Ciascuno negozia i propri interessi, ma senza volontà di fonderli. Per esempio, la Francia difenderà fino alla morte i sussidi all’agricoltura e i suoi privilegi in essa, chisseneimporta quanta inefficienza europea si produce in tal modo. La Germania difenderà dall’europeizzazione molti settori della sua economia, dalle casse di risparmio assistenziali ai vantaggi speciali per le industrie nazionali nel settore delle costruzioni, chisseneimporta se ciò blocca la formazione di un mercato unico. L’Italia vuole una cosa e la Francia o la Germania gliela daranno se non disturberà su altre. E così negozieremo perché lo stile resterà questo, il nuovo abortito. Ciò vuol dire che l’ambiente europeo non diventerà un mercato unico per spinta politica di tutti, ma una giungla di baratti per preservare regimi speciali nazionali l’uno diverso dall’altro. Pertanto la fusione sarà molto lenta, fredda, aperta ad incidenti di percorso anche letali. Uno di questi potrà riguardare il patto di stabilità. I suoi vincoli sostituiscono l’assenza di un governo confederale. Se questo tarderà, allora la rigidità del patto non potrà essere rispettata. La Francia non potrà raggiungere il pareggio di bilancio pubblico prima del 2007, molti altri nelle stesse condizioni. L’euro certamente non ne guadagnerà in solidità prospettica. Brutto scenario. Spero solo che Francia e Germania rientrino dal loro nazionalismo e diano un segnale per riaprire la stagione delle sovranità convergenti e cooperative. E sta all’Italia, Paese fondatore, ricordaglielo qualora fossero lente a rinsavire.

(c) 2003 Carlo Pelanda
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