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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2004-5-15il Giornale

2004-5-15

15/5/2004

La negazione del pericolo

Fate attenzione: c’è un problema serio la cui soluzione vi coinvolge, lettori di buon senso, direttamente. Nei centri di ricerca occidentalisti pensiamo di avere, ormai, un’immagine abbastanza chiara dello scenario relativo alla guerra globale contro il terrore e dei modi per vincerla. Ma l’Occidente sta perdendo battaglie importanti, ed esponendosi a colpi mortali nel futuro, perché non è coeso abbastanza per mobilitare tutte le risorse necessarie per sconfiggere il nemico. Tale frammentazione dipende dal fatto che in Europa metà della popolazione non riesce o non vuole capire che un nemico di tipo nuovo ed “assoluto” ci ha dichiarato guerra. Gli psicologi sociali avvertono che da noi è in atto un impressionante, per vastità, fenomeno di “negazione del pericolo” (ampia bibliografia, fin dagli anni ’50, per chi vuole approfondire). Rilevano una barriera mentale di massa che impedisce la penetrazione della verità e che seleziona visioni rassicuranti ed irrealistiche contro quelle realistiche. Per questo motivo la pur tanta informazione tecnica sul nemico ed il suo piano non ha finora sortito effetti proporzionati alla minaccia. Penso che se i lettori di queste pagine sono messi in grado di valutare tale effetto barriera poi potranno aiutare a smontarla in loro stessi, se c’è, e negli altri.

Da cosa dipende il fenomeno della negazione del pericolo? In realtà è un atteggiamento normale che viene sospeso solo di fronte all’evidenza di un rischio imminente. Inizialmente gli specialisti della materia pensarono che bastasse comunicare tale evidenza per far scattare la giusta valutazione, cioè la consapevolezza della condizione di guerra. Perché non è avvenuto? Anche negli Stati Uniti la gente non aveva idea di chi fosse il nemico e della sua pericolosità, ma l’attacco diretto e spettacolare sostituì tale informazione e fu sufficiente per dotare di consenso la reazione militare. Si disse che la mancanza di tale attacco non aveva fatto scattare in Europa la percezione del pericolo. Ma quando ci fu, a Madrid, amplificò il neutralismo negazionista invece di indurre una reazione attiva/difensiva. Segno che c’era molto di più sotto. Due fenomeni: la maggior parte delle fonti informative non dava l’informazione corretta; la gente preferiva credere al mito di poter stare fuori dalla guerra invece di vederne la realtà. Quale dei due fattori interagenti aveva – ed ha – più peso sull’altro? Dalle ricerche è emerso il secondo: una posizione mentale profonda e diffusa che nega fino all’inverosimile la realtà. Ma che genera ansia. Che fu ed è rimossa collettivamente trovando il capro espiatorio nella, per questo inventata, aggressività americana. L’America è percepita “cattiva” perché disturba l’illusione di poter vivere in un’isola felice. Quindi l’America è un nemico peggiore di Al Qaeda. Le fonti informative non inventarono queste cose, ma si adattarono ad esse, con poche eccezioni. Le sinistre dovettero seguire il loro elettorato perché più attivo, quasi istericamente, in questo processo di rimozione. Quella centrista e razionale fu – ed è -  sommersa da quella radicale che meglio rappresenta l’illusione che la gente vuole mantenere. Tale fenomeno a sinistra, che bloccò l’analisi realistica nell’intero circuito europeo della comunicazione perché portò le attenzioni su categorie mitiche, non permise di correggere l’errore di etnocentrismo a cui furono e sono vulnerabili molti benpensanti non di sinistra. L’errore è quello di estendere all’altro le proprie categorie. Per esempio, il pacifista ritiene che anche lo jihadista sia una persona come lui: ad un messaggio di pace deve rispondere simmetricamente. Oppure che il terrorista ingaggiato per costruire il grande califfato panislamico sia un patriota o resistente che reagisce ad un’aggressione. Ma cosa c’è sotto, alla fine, a tutti questi incredibili errori di irrealismo? Il sogno di poter evitare i mali del mondo semplicemente chiudendo gli occhi. Come fanno i bambini. Tutto qua? Sì, ma non è poca cosa. Infatti, una volta capito il problema, non si sa come svegliare i sognatori. Per questo mi appello ai lettori, alle conversazioni che possono fare in casa, in ufficio e in treno. Per stimolarle posso darvi il motivo, tecnico, d’urgenza. Il nemico jihadista è di tipo assoluto e si fermerà solo quando ci avrà distrutti o sottomessi. Se gli lasciamo un solo centimetro di terra o un minuto senza pressione  li userà per riorganizzarsi e dotarsi di armi nucleari e biochimiche che non esiterà, giurateci, a lanciare contro di noi appena le avrà. Motivo per cui siamo in Afghanistan, Irak e - in diverse configurazioni e più silenziosamente - altrove. In particolare, la coalizione occidentale sta rafforzando, con mezzi politici ed economici, i regimi islamici moderati in almeno quaranta Paesi. Sta incalzando il nemico jihadista – decine di migliaia di guerriglieri attivi e centinaia di migliaia in sonno -  in più di sessanta nazioni. Sta organizzando una rete globale di sorveglianza ed interdizione. In sintesi, è uno sforzo enorme che richiede tutte le risorse dell’Occidente mentre la sola America e pochi altri, tra cui l’Italia, ne stanno sostenendo il peso. Se resta così non ce la faremo a vincere o, qualora ci riuscissimo, non eviteremmo colpi devastanti. Americani ed europei insieme ce la farebbero. Aiutate i secondi a svegliarsi, a capire che o eliminiamo il nemico o lui distruggerà noi, niente in mezzo. 

(c) 2004 Carlo Pelanda
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