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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 1997-8-31il Giornale

1997-8-31

31/8/1997

Solo il neoliberismo può fare una riforma efficace dello Stato sociale

Analizziamo, pur schematicamente, a quale punto della storia siamo arrivati. Ci serve per capire meglio i termini della "riforma dello Stato sociale".

Dal 1700 al 1900 la rivoluzione industriale portò alla "economicizzazione della società". L'economia divenne di massa mentre nel mondo agricolo pre-industriale era solo per pochi, borghesi, il grosso della società disperso in campagna. La novità fu che in poco tempo il capitale divenne il tema centrale nella vita della maggioranza degli individui, ben definito da Karl Marx come avvento dell"Uomo economico". Questi era tale perché non produceva più direttamente i propri mezzi di sostentamento attraverso la manipolazione diretta dei frutti della terra, ma doveva procurarseli attraverso la mediazione di un salario. Infatti i problemi della nuova relazione tra politica ed economia riguardò il cambiamento del modello di società in relazione alla transizione delle maggioranze sociali da un'economia con poco denaro ad una che ne richiedeva molto di più. Questi problemi furono, essenzialmente, due. Il primo riguardò la creazione tecnica di più moneta per reggere la nuova domanda di capitalizzazione da parte delle masse industrializzate. Il secondo fu quello del come "socializzare l'economia nel momento in cui la società era stata economicizzata". Tradotta, la questione fu: come creare un accesso di massa al capitale?. La politicà generò due soluzioni antagoniste: (a) socializzare l'economia come rivendicazione sindacale (il laburismo e socialismo) o come modello di creazione politica di capitale per le masse (nazionalsocialismi, tipo il fascismo, nazismo, peronismo) fino all'estremo dell'economia senza denaro (il comunismo) o, più recentemente, del denaro per diritto, cioé lo "statalismo"; (b) lasciare il più libera possibile l'economia come modo per permettere a ciascuno di trovare la propria posizione in essa (il liberismo). Dove siamo arrivati, dopo tre secoli, nella soluzione di questi problemi? Il primo é abbastanza vicino ad una soluzione. Il secondo é ancora irrisolto.

La soluzione del problema di come aumentare la quantità di capitale fu trovata nel rendere protagonista lo Stato nel processo di creazione e regolazione delle masse monetarie. Dopo molte prove ed errori, oggi abbiamo un sistema di politica monetaria che é in grado di alimentare il "capitalismo di massa". Ma il modello politico per ottenerlo in forma compiuta ancora non esiste. Tutte le forme di statalismo, cioé di controllo politico e "dirigista" dell'economia, sono vistosamente fallite. E il motivo, pur nella diversità dei modelli, é uno solo: per distribuire artificialmente ricchezza se ne deprime la creazione. Ogni modello statosocialista, infatti, é in crisi. E' ormai certo che lo statalismo sia un ramo secco, scommessa fallita, dell'albero delle possibili soluzioni al problema della socializzazione dell'economia. Il liberismo si é dimostrato migliore perché metodo potentissimo di creazione della ricchezza. Resta, tuttavia, debole nella diffusione sociale della stessa. Il primo risultato dell'esplorazione storica porta al risultato che é più razionale tentare di socializzare il liberismo, perché modello che funziona sul lato più importante dell'economia - cioé quello della creazione di ricchezza - che non tentare di rendere più liberale lo statosocialismo, modello geneticamente sbagliato. Si riforma qualcosa che ha gambe buone, non quello che comunque non sta in piedi.

Detto questo, la nuova missione del "neoliberismo" é quella di individuare quale via possa rendere più sociale il modello liberista classico ed evitare il rischio di spaccatura della società tra molto ricchi e molto poveri. Secondo me la soluzione é quella di rielaborare il concetto di "capitale". La socializzazione dell'economia é stata sempre trattata come distribuzione diretta di denaro e di garanzie mediate da una burocrazia costosa ed inefficiente. L'errore é questo perché diventa sottrazione allo sviluppo. Se, invece, si investisse su ciascun individuo per migliorarne le capacità competitive su un mercato reso libero al massimo (formazione continua, supporto ai percorsi lavorativi nell'ambito di un sistema economico deregolamentato che favorisce la creazione di impresa) avremmo con meno spesa di denaro un enorme aumento dello sviluppo e, in particolare, una capitalizzazione di massa con minore probabilità di squilibrio sociale. In sintesi, il neoliberismo deve sostituire le vecchie garanzie redistributive di socializzazione dell'economia con delle nuove basate sulla costruzione del "capitale umano".

Dare concretezza a questa strategia é il compito dei riformatori neoliberisti. Il farlo é urgente perché chi vuole riformare lo Stato sociale a partire dalla difesa di un modello geneticamente sbagliato sicuramente fallirà. E in Italia, francamente, fa perfino male al cuore vedere tanti pomposi riformatori di sinistra che non si accorgono di essere prigionieri di una palude della storia, un fiume finito nel nulla. Forza, colleghi neoliberisti, diamo alla politica la teoria del nuovo liberismo che serve e che può funzionare. Sappiamo farla. E diamoci anche un'ambizione. In tutti i Paesi del mondo avanzato il problema é proprio di come trovare un liberismo più sociale. Rilanciamo il pensiero italiano competendo per essere i primi a trovare e sperimentare la soluzione che finalmente la storia ci mostra con più chiarezza, dopo tanti esperimenti ed errori.

(c) 1997 Carlo Pelanda
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