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NUOVE RISORSE PER GLI INTERVENTI DI PACIFICAZIONE:

ARMI NON-LETALI E SISTEMI DI IMPUTABILITÀ

di Carlo Pelanda (1994)

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Nel vertice dell'Alleanza Atlantica, il 10 gennaio 1994, il governo italiano ha proposto alla Nato di studiare nuovi mezzi per rendere più efficaci e flessibili gli interventi di pace. In particolare, I'Italia ha proposto la valutazione di un sistema in grado di attuare un controllo informativo sul rispetto degli accordi di tregua capace di imputare precisamente le violazioni. Ha anche proposto una variante evolutiva di tale sistema, denominato VIS (Violation Information System, in grado di registrare i crimini di guerra in forma tale da rendere il dato probante, ovvero utilizzabile dalle magistrature internazionali (per esempio il Tribunale internazionale per i crimini di guerra nella Bosnia) e nazionali. Inoltre la proposta del nostro governo ha riguardato la richiesta di valutare, hl generale, i potenziali di impiego di armi non-letali per rendere più flessibili gli interventi di interposizione e di difesa delle azioni umanitarie in aree esposte a conflitto.

Già dall'estate del 1993 presso l'AREL si sono svolti dei seminari di studio sui sistemi non-letali e tra essi, in particolare, quelli dedicati ai sistemi di imputabilità nell'ambito della ricerca di soluzioni ai vistosi limiti dottrinari e tecnici degli interventi di pacificazione. Nel seguito vengono presentate le prospettive ed i problemi emersi nel corso di tale attività esplorativa.

2 I limiti dei sistemi tradizionali

Nel caso dell'intervento umanitario in Somalia l'esclusivo impiego dei sistemi d'arma tradizionali .si è dimostrato inefficace e controproducente per la loro letalità indiscriminata. E impensabile, infatti, fare ricorso a sistemi d'arma letali su vaste aree popolate prevalentemente da abitanti inermi, nell'ambito delle quali si muovono formazioni irregolari, terroristiche o semplicemente sobillatrici.

In altri casi di azione di pace, ed in presenza di situazioni di conflitto più classico (ad esempio nella ex-Jugoslavia), ha assunto estremo rilievo negativo la difficoltà di individuare le responsabilità obiettive sia delle parti in causa nel loro insieme sia dei singoli autori di atti di terrorismo verso l'interno o verso le Forze di pace (ad esempio nel caso di abbattimento di velivoli sotto le insegne Onu).

L'insieme di questi fattori ha posto i contingenti sovranazionali in una condizione di forte disagio ` reale e psicologico, ed ha provocato reazioni nell'opinione pubblica dei singoli paesi partecipanti. Tali reazioni hanno oscillato tra atteggiamenti contrapposti, che sono andati da posizioni assolutamente "pilatesche" (ritiro dei contingenti di pace ed abbandono della situazione e delle popolazioni al loro destino) a opzioni di interventismo massiccio con l'imposizione della "pace" grazie al diffuso ed indiscriminato impiego di armi classiche. Quindi l'inadeguatezza dei mezzi di intervento ha creato delle ondate di opinione pubblica non certo favorevoli al mantenimento di una linea razionale e coerente da parte dei governi. Il problema consiste, quindi, non nello stabilire se le missioni di pacificazione siano o no opportune, ma nel definire modi e mezzi di intervento che siano adeguati. E da questa valutazione iniziale che emerge l'opportunità di approfondire le possibilità di individuare un livello intermedio di azione dissuasiva e inibitoria non-letale prima di passare all'uso indiscriminato di armi letali.

3. Aspetti critici per lo sviluppo di sistemi non-letali

Quando si parla di armi non letali ci si trova immediatamente di fronte ad alcune valutazioni critiche di fondo. Fra queste si citano, a titolo di esempio:

- la presunta bassa capacità dissuasiva dei sistemi non letali;

- il rischio di indurre una escalation della reazione dell'avversario a fronte del modesto danno e dell'alto fastidio provocato da mezzi non letali;

- la pericolosità del diffondersi di armi non letali ad alta efficacia quale strumento di uso interno, per fini autoritari o per attività di malavita organizzata o per semplice coercizione interpersonale;

- l'elevato costo associato allo studio di sistemi non-letali ad alta efficacia, specie se con capacità selettiva;

- il rischio di vedere il formarsi di una oligarchia di paesi ad alta tecnologia in grado di dominare, grazie al possesso di tali armi innovative, la situazione mondiale.

Di queste critiche, la prima perde sostanziale efficacia dando per scontato l'accoppiamento delle armi non-letali con il ricorso eventuale a quelle letali (trasferendo la dissuasione delle seconde sulle prime). Tale approccio di integrazione tra letale e non-letale, poi, risolve anche il problema dell'escalation a fronte o a seguito di una non adeguata "ubbidienza" da parte dell'avversario al monito fornito con le armi non letali. Le altre critiche riguardano certamente rischi associati al diffondersi di una nuova tipologia d'arma, ed in generale di raffinate tecnologie intrusive. Quindi il tema va affrontato con grande cautela, cercando di valutarlo sul piano più ampio delle possibili conseguenze. In ogni caso, un approfondimento adeguato potrà essere tentato solo a valle dell'individuazione di massima delle varie classi di armi non letali.

4. Tipologia di massima dei sistemi non-letali

Passando all'esame della tipologia delle classi di armi non letali, si possono ipotizzare le seguenti categorie generali.

(a) Sistemi di imputazione.

Riguardano le tecnologie di intelligence atte a tenere sotto controllo continuo un territorio, una zona ristretta, un raggruppamento umano o, al limite, i~ singolo individuo. Tale tipologia di arma non-letale ha una funzione primariamente psicologica e di natura preventiva, in particolare se configurata come mezzo probatorio di azioni illecite commesse e quindi quale strumento di giustizia e possibile punizione. In altri termini, disponendo di sistemi di controllo su un'area, su tutti i mezzi ivi operanti e su tutti gli abitanti, si impedisce, di fatto, la possibilità di comportamenti criminali, grazie alla significativa probabilità che il singolo ha di essere continuamente "visto" e "localizzato". Sinteticamente, tale tipologia di arma non-letale può essere denominata come sistemi per accertare l ' imputabilità collettiva e/o individuale. Lo scopo di tali sistemi sarebbe sia di contribuire al rispetto degli accordi di tregua accettati da parti in conflitto, sia, in versione più raffinata, di registrare in forma giuridicamente valida crimini di guerra ed in generale violazioni dei diritti.

(b) Sistemi di inibizione/interposizione.

Possono essere riferiti a regioni, aree più contenute o, al limite, a singoli edifici. In questa classe di sistemi può rientrare una ampia tipologia di mezzi, con finalità ed effetti più o meno sofisticati. Vanno citati quelli rivolti a consentire la interposizione fra due schieramenti contrapposti o alla ermetica delimitazione di un'area (per impedire sia il propagarsi dello stato di tensione sia l'afflusso nell'area di uomini e mezzi atti ad alimentare la tensione stessa) od ancora la protezione di zone popolate da civili inermi ed estranei alle situazioni di conflitto e/o di guerriglia (con estensione, quindi, anche ad ipotesi di impiego di civili più o meno consenzienti quale scudo ad azioni militari, di guerriglia o comunque delittuose).

(c) Sistemi di impedimento temporaneo.

Riguardano tutta quella classe complessa di strumenti che sono in grado di rendere inoffensivi per un tempo limitato uomini e/o apparati. Tali mezzi possono essere, in teoria, di area o selettivi, nel senso che possono agire sia indiscriminatamente su tutto ciò che "esiste" in un certo territorio sia in maniera sempre più selettiva e specifica verso alcuni mezzi o determinate persone. Ovviamente, tali mezzi di impedimento richiedono di essere accoppiati a strutture in grado di sfruttare tempestivamente il vantaggio conseguito, portando a termine in maniera incruenta le operazioni militari e/o di polizia che hanno reso necessario l'impiego di tale tipologia di arma non letale.

(d) Sistemi di impedimento contro mezzi.

Tale classe di armi non letali ha il compito di rendere inoffensiva la capacità bellica dell'avversario, salvaguardando in maniera praticamente totale le vite umane sia proprie sia dell'avversario. In linea teorica, sarebbe auspicabile lasciare integro e funzionale anche tutto il sub-strato infrastrutturale ed economico del territorio sottoposto all'impiego di questa classe di armi.

Il criterio della necessariamente elevata selettività delle armi non-letali è un motivo ricorrente in tutta la rassegna delle possibili tipologie di tali armi innovative. La caratteristica di selettività, in effetti, è estremamente difficile da conseguire e risulta strettamente legata al livello di sofisticazione tecnologica del sistema (e quindi sia ai costi di sviluppo e di approvvigionamento correlati, sia alla pericolosità connessa ad un impiego scorretto).

Le armi non-letali sono "fattibili" e, in piccola parte, già disponibili. Ma quanto oggi esiste è caratterizzato da una certa "rozzezza" di impiego proprio per quanto attiene o alla selettività o al reale grado di non letalità. Ad esempio, i gas dotati di capacità di inabilitazione temporanea, largamente impiegati in operazioni di pubblica sicurezza, in effetti possono risultare letali se nella zona di disseminazione risiedono individui fisicamente deboli; né è facilmente concepibile un gas in grado di inabilitare selettivamente un individuo rispetto ad un altro casualmente prossimo. Va anche citato il problema del rispetto dei trattati sulle armi chimiche dove non necessariamente la certificazione di non letalità può ammetterne automaticamente l'uso sul piano internazionale da parte di una forza pur legittimata.

Rendere selettive le armi non-letali comporta, in effetti, di considerare solo alcune limitate classi delle stesse, e spingere la sofisticazione tecnologica oltre a quanto oggi disponibile. Se quest'ultimo aspetto non è teoricamente un problema (in quanto la disponibilità tecnologica è funzione della qualità della domanda), più complesso è il discorso economico al riguardo degli investimenti necessari. I costi di sviluppo, poi, vengono ulteriormente aggravati dalla costruzione di sistemi e procedure di controllo connessi al rischio intrinseco di diffusione di tali mezzi o all'uso improprio che ne potrebbe essere fatto. Su questo tema, del resto già accennato, si tornerà nelle conclusioni.

5. Specificazione dei mezzi e procedure non-letali esistenti o possibili

Sintetizzando quanto fino ad ora espresso, si può dire che al momento è possibile svolgere azioni di "polizia internazionale" solo ricorrendo al potere coercitivo delle armi letali oggi in dotazione. Tale potere dissuasivo-coercitivo si è dimostrato del tutto inefficace, spesso controproducente e, comunque, non adeguatamente graduabile. L'introduzione del concetto di arma non-letale e la disponibilità di queste ultime sono fattori potenzialmente in grado di fornire la giusta graduale flessibilità all'intervento.

Il potere decisionale a livello politico e strategico vedrebbe così notevolmente ampliati gli strumenti a propria disposizione per la definizione delle iniziative. Va ricordata al riguardo l'impotenza sperimentata dai governi europei e della Nato in merito al caso bosniaco. Per essi l'alternativa si è ridotta al non fare niente o fare tutto, ambedue ipotesi inaccettabili. Si è tenuta così comunque una via di mezzo che si è rivelata poco efficace sul piano dell'incisività nel convincere le parti a cessare i conflitti (embargo, pressioni diplomatiche, presenza di truppe Onu con regole di ingaggio assolutamente neutraliste, ecc.). La disponibilità di un arsenale non-letale avrebbe potuto permettere interventi di regolazione del conflitto certamente più efficaci senza, peraltro, implicare un'azione militare massiccia densa di problemi. Il caso della Somalia è, poi, ancora più eclatante per le medesime considerazioni. Ripercorriamo la tipologia dei mezzi non-letali sopra accennata specificandone un po' meglio, pur in forma solo indicativo-ipotetica, i potenziali.

5.1. Sistemi di controllo informativo e di imputabilità

Un'accurata conoscenza preventiva del territorio di operazioni ed il continuo controllo in tempo reale dello stesso è, notoriamente, elemento essenziale per impostare ed eseguire ogni eventuale sviluppo di situazione.

I mezzi di controllo di un territorio sono già noti, vastamente impiegati ed afferenti alle cosiddette attività di intelligence. Accanto a questi mezzi già tradizionali possono, tuttavia, operare sistemi integrativi ed innovativi ad alta tecnologia quali:

(a) I satelliti, o meglio le reti di satelliti, capaci di riportare in modo chiaro e tempestivo gli avvenimenti ed i dati richiesti, equipaggiati con: - sensori radar progettati per fornire immagini della superficie terrestre con una risoluzione paragonabile a quella delle riprese fotografiche, anche di notte ed in qualsiasi condizione atmosferica;

- sensori di sorveglianza per la visione notturna, la rilevazione e l'inseguimento di oggetti con sistemi di visione termica;

- sensori con capacità di controllo ottico;

- apparati di sorveglianza elettronica, dedicati alla raccolta di dati relativi alle comunicazioni ed agli apparati radar.

(b) Sistemi di sorveglianza aeroportati dotati di:

- apparati elettro-ottici avanzati ad immagine visiva;

- apparati di sorveglianza ed intelligence elettronica e radar;

(c) Velivoli non pilotati capaci di volare per molte ore, ricuperabili dopo la missione o in grado di trasmettere in tempo reale immagini o di altro tipo utile alle stazioni a terra.

Tutti questi mezzi, a cui vanno aggiunti quelli tipici dell'intelligence tattica a terra, attualmente sono già utilizzati dai paesi militarmente avanzati . in operazioni belliche classiche. La loro validità è elevata per il controllo territoriale, ma scarsamente selettiva sia per modestia di potere risolutivo sia per discontinuità di osservazione. Tuttavia il loro potenziale è sufficiente per garantire un certo controllo delle macroviolazioni di tregue ed accordi.

La realizzazione di un tale primo livello di controlli non implica, pertanto, la costruzione di nuovi sistemi, ma la riconfigurazione di quelli già esistenti. In particolare sarebbe possibile dualizzare tali sistemi aggiungendo alla loro missione ordinaria di controllo informativo per fini militari anche quella di controllo delle violazioni.

Un tale sistema sarebbe anche fattore di raffinamento degli accordi di tregua immettendo il criterio della accettazione della intrusività tra le parti di un terzo controllore tecnologicamente esclusivo, secondo certe regole e sanzioni attivabili in caso di rilevamento delle violazioni stesse.

Su questo piano il problema non è tanto la disponibilità tecnologica quanto quella politica dei paesi che possiedono tali sistemi. Di fatto, in ambito Nato, solo gli Stati Uniti sono in grado di fornire gli apparati necessari e dovrebbero essere convinti a metterli a disposizione, pur con gli ovvi limiti di mantenimento del controllo nazionale sugli stessi. Ma il problema di architettura politica del sistema non si ferma alla sola disponibilità delle nazioni dotate. Esso riguarda anche il problema di chi difende l'apparato informativo da eventuali controreazioni. E tale difesa deve essere forte per evitare l'annullamento dei mezzi a portata dell'avversario o altre contromisure. Quindi chi partecipa all'azione informativa deve essere anche inserito in un apparato militare di difesa e dissuasione. La complessità di tale punto è tale che solo la Nato è in grado di attivare il ciclo completo politico-tecnico di tale riconfigurazione possibile dei sistemi informativi esistenti. Ancor più complesso è il caso di sistemi antiviolazione dedicati a rilevare in forma probante crimini individuali. Qui la prestazione è più raffinata e richiede la messa in opera di sistemi aggiuntivi la cui tecnologia certamente è nota, ma non ancora operativa. Inoltre la densità delle reti di osservazione e rilevamento deve essere molto alta. Infatti l'effetto dissuasivo sull'individuo (cecchino, guerrigliero, miliziano, ecc.) è proporzionale alla probabilità di essere osservato e registrato mentre compie la violazione. Tale prestazione tecnologica è fattibile, ma solo, appunto, mettendo in campo sistemi più sofisticati di quelli disponibili, quindi a costi molto elevati.

Molto più importante, poi, è il punto che riguarda la certificazione dei dati di violazione in base agli standard di accettabilità dell'organo politico e/o giuridico che è preposto al caso di intervento internazionale. La tecnologia non deve solo fornire il dato di violazione per creare la situazione di imputabilità delle violazioni, ma anche confezionarlo secondo standard di riconoscimento da parte di soggetti politici sovranazionali quali l'Onu, nonché giuridici. Tale requisito impone non solo un'interazione tra tecnologia e codici procedurali, ma una vera e propria evoluzione delle regole formali del diritto internazionale, certamente, al presente, inadeguate a ricorrere a tale risorsa.

Comunque, tracciata la via e precisata l'esigenza di controllare un territorio sino a disporre di dati probatori di imputabilità e punibilità del singolo, la fantasia dei ricercatori e degli enti a ciò preposti non avrà difficoltà ad individuare i mezzi più idonei a conseguire lo scopo. Il punto è capire che nei casi di pacificazione ed intervento umanitario la possibilità di imputare macro- e micro-violazioni è uno strumento essenziale per la regolazione del sistema. Si tratta, in altre parole, di utilizzare il diritto come arma.

5.2. Sistemi di inibizione.

Quale corollario del concetto di sorveglianza anche ai fini della imputabilità, vi è la necessità in alcuni possibili tipi di missione di peacekeeping di inibire un territorio, ossia di impedire in maniera assoluta l'ingresso e l'uscita non autorizzata di uomini e mezzi dal territorio stesso.

Sinora, pur con consistenti sforzi, non si è mai riusciti a conseguire tale obiettivo, essenzialmente sia per la scarsa decisione dimostrata nell'impiegare mezzi letali per imporre la rigida osservanza di un blocco militare totale, sia per i riflessi inaccettabili che ciò comporta sulla popolazione civile, sia per la quantità di forze da schierare per il raggiungimento dell'obiettivo.

Tale attività di inibizione, quando praticata, ha avuto, al più, successo in aree limitatissime e con un costo considerevole in termini di vite umane da ambo le parti.

Stabilito che il criterio di non letalità appare implicare l'assenza di contatto diretto fra forze inibenti e persone inibite, si ritiene che per raggiungere l'obiettivo sia necessario fare ricorso a mezzi del tutto innovativi per "sigillare" un territorio, non tanto e non solo in maniera attiva (inibizione diretta per impedimento), quanto come "allarme" di violazione di un confine cui segue inevitabilmente un intervento repressivo letale: ad esempio, utilizzando una serie di sensori di allarme altamente selettivi in grado sia di segnalare qualsiasi violazione del confine invalicabile sia di guidare i sistemi letali di repressione, in un nesso di causa-effetto che deve apparire talmente chiaro ed ineluttabile da dissuadere qualsiasi tentativo di violazione.

Quando, poi, il criterio di inibizione è riferito non all'isolamento od alla separazione di parti in conflitto, ma alla protezione di uomini e beni estranei al conflitto, bisognerà fare ricorso ad altre tipologie di armi non letali, sicuramente futuribili anche sotto il profilo meramente ideativo ("maser", schermi di energia, barriere termiche, ecc.).

5.3. l sistemi di annullamento di efficacia di mezzi bellici.

Questa classe di armi non-letali presenta un evidente interesse, in quanto tende ad eliminare il potenziale bellico dell'avversario o la possibilità di reciproco danno tra due schieramenti combattenti in un teatro che si vuole pacificare. L'azione di annullamento di efficacia può essere diretta (ossia rivolta specificamente al mezzo bellico) o indiretta (sconvolgendo l'apparato logistico di sostegno). Nel primo caso l'effetto è sufficientemente immediato, nel secondo caso l'annullamento di efficacia avviene nel tempo, con risultati peraltro dubbi, specie ove non si riesca a "sigillare" contestualmente il territorio. Tra le varie tecnologie più o meno sviluppate applicabili spiccano, a titolo meramente indicativo:

- la generazione e l'irradiazione di brevi ed intensissimi impulsi e.m. (EMP) provocati da generatori MHD (magneto hydro dynamics) che convertono l'energia di un esplosivo convenzionale in un plasma pulsato (energia diretta);

L'EMP, per la sua breve durata, non è significativamente pericoloso per l'uomo, mentre gli effetti esiziali per i mezzi si manifestano immediatamente in quanto le fortissime tensioni e correnti generate penetrano ovunque attraverso cavi, linee telefoniche, condutture d'acqua condotti di aereazione, strutture metalliche ecc., rendendo vulnerabili tutti i mezzi elettromeccanici ed elettronici non adeguatamente protetti;

- vernici indelebili, sostanze fluorescenti visualizzabili con lampade UV, sostanze che colorano i mezzi (o la pelle) in presenza di prodotti della combustione (gas di sparo), da impiegarsi per rivelare un apparato bellico e poi distruggerlo con mezzi letali od inabilitare con laser termici;

- sostanze gelatinose intelligenti, che possono mutare dimensione e forma se sottoposte a determinati stimoli meccanici o liberare farmaci o biomolecole in risposta a variazioni di campo elettrico;

- resine particolari e adesivi a rapido effetto per rendere inutilizzabili mezzi bellici (carri, artiglieria, velivoli, ecc.) senza danno per gli uomini;

- sostanze catalizzatrici in grado di interagire con altre (combustibili/ oli lubrificanti, grassi, pitture ecc.) accelerandone i processi di degradazione;

-,micro-organismi che intaccano selettivamente le parti molli e/o a matrice organica dei sistemi d'arma (gomme, plastiche, oli ecc.).

Questi ultimi, in particolare, appaiono di un certo interesse, in quanto già studiati e selezionati in laboratorio per altri fini (smaltimento rifiuti plastici). Il problema di impiego è, tuttavia, connesso ai tempi di azione di tali batteri (o medio-lunghi) ed alla successiva decontaminazione del territorio.

6. Considerazioni conclusive

La categoria delle armi non letali risulta di evidente potenziale interesse per tutte le operazioni umanitarie e di pacificazione. A fronte di questa asserzione scarsamente confutabile, si contrappongono alcune valutazioni di varia natura che indicano quanta ricerca debba essere ancora compiuta non solo per ottenere la disponibilità di tali sistemi, ma soprattutto per dominarne l'impiego in modo tale da non produrre conseguenze indesiderate, o più problemi di quanti ne vengano risolti. Lo stato della ricerca tecnologica è molto avanzato nella materia, in particolare negli Stati Uniti, ma quello della ricerca sui metodi e scenari applicativi è appena agli inizi.

A questo secondo livello siamo solo in grado di impostare alcune domande per guidare ulteriori e successive analisi. In particolare:

- quale è il livello di fattibilità reale di armi non letali, specie se ad alta selettività? E se la risposta è incoraggiante, qual è il livello di spesa associato? E evidente, infatti, che in moltissimi settori andrebbero effettuati investimenti imponenti per tecnologie oggi inesistenti ed innovative anche sul piano concettuale. Il tutto a fronte di un mercato ufficiale che non appare talmente ampio da giustificare l'investimento. A corollario di ciò, chi dovrà avere la leadership (e l'onere) di imprese nel settore? La/le Nazioni più tecnologicamente evolute o (come più correttamente sembrerebbe essere) le organizzazioni sovranazionali preposte al mantenimento della pace mondiale;

- quali garanzie si hanno sul fatto che le armi non letali non si ritorcano contro chi le ha concepite? E ciò sia sul "campo" sia come impiego improprio per azioni autoritarie, destabilizzanti o di semplice malavita più o meno organizzata;

- quale è il livello di "moralità accettabile" delle armi non letali? Quali i trattati internazionali da rinegoziare a seguito dell'introduzione di alcune classi di esse? Ad esempio, tutta la categoria di mezzi non letali andrebbe accuratamente studiata e dotata di una matrice normativa, non solo per definire la reale non letalità e le limitazioni di impiego, ma soprattutto per studiare l'effetto (anche nel tempo) di tali mezzi sul territorio, sull'uomo e sui mezzi. Vi potrebbero essere, infatti, problemi di contaminazione non calcolabili e di impatto ecologico notevole. Sempre sotto il profilo della "moralità accettabile", il discorso è ancor più complesso, in quanto la sensibilità individuale a certi metodi, specie di controllo o limitazione della libertà, è altamente variabile da uomo a uomo, da etnia a etnia, da ambiente ad ambiente, da situazione a situazione. Alcuni metodi non letali potrebbero essere considerati, paradossalmente, ancor più odiosi ed intollerabili di una decimazione o di una rappresaglia.

Tuttavia, in attesa di capire meglio gli scenari applicativi del non-letale, dobbiamo registrare che è certamente incominciata nel mondo occidentale la ricerca volta a creare una nuove generazione di sistemi d'arma la cui forza distruttiva possa essere modulata anche per ottenere maggiore consenso all'uso da parte di opinioni pubbliche ad alta sensibilità etica e informate pressoché in tempo reale da reti televisive globali.

Ma registriamo anche una tendenza accelerata verso tecniche di guerra a distanza ed altamente tecnologizzate. Le ricche società occidentali, in effetti, sono "debellicizzate" e non possono più difendere i loro interessi attraverso sacrifici di massa dei loro cittadini. Pertanto è pressoché scontato che i mezzi di difesa e di intervento armato risentano di una pressione a configurarsi in forma più automatica e remota. In questa tendenza c'è anche la spinta data dall'esigenza, per i paesi occidentali, di ottenere una superiorità assoluta e non più solo relativa nei confronti di possibili avversari. Pur più nutrito e meglio equipaggiato, un nostro fante che pattuglia Mogadiscio è pressoché al medesimo livello di un miliziano affamato che imbraccia un mitra della seconda guerra mondiale. Il secondo può quindi colpire il primo. Solo che il costo valoriale e politico di quella vita è molto maggiore. In tal senso l'estrema sofisticazione verso cui sta viaggiando la tecnologia degli armamenti non è altro che la conseguenza del fatto che la vita, nei paesi occidentali, ha un valore politico ed economico molto maggiore che negli altri.

Quindi, di fatto, siamo alle soglie di un "riarmo qualitativo" di nuovo tipo.

In questo abbozzo di tendenze vorremmo comunque segnalare con enfasi particolare lo sviluppo, nell'ambito del non-letale, di sistemi per il controllo informativo delle violazioni nella categoria dei sistemi di imputabilità sopra indicati. Tale settore è forse il meno esplorato dalla ricerca condotta in altri paesi, per lo meno con lo spirito adottato dagli esperti italiani che se ne sono occupati. Tale spirito enfatizza la necessità di costruire comunque, nelle crisi, una possibilità di promuovere il rispetto dei diritti e delle regole ottenendo il dominio informativo di un'area e trasferendo dati ad organi esecutivi dotati della legittimità politica e giuridica per attivare opzioni sanzionatorie, anche differite di molto nel tempo. Per esempio, in Bosnia sono successi massacri e violenze di ogni tipo contro cittadini inermi anche perché una delle tecniche di guerra da parte dei Serbi (e anche degli altri) implicava il terrorismo etnico per costringere all'abbandono del territorio. I responsabili di questi crimini di guerra non sono stati puniti perché si è voluto evitare l'intervento militare degli occidentali. Alla fine non saranno puniti se non in piccola parte perché non vi sono prove di quello che hanno fatto. Se vi fosse stato in opera un sistema di imputazione in grado di registrare in forma probante una buona parte degli eventi criminali (cosa come ribadito tecnologicamente possibile) tale possibilità di giustizia, pur posposta nel tempo, continuerebbe ad esistere. E probabilmente vi sarebbe stata una maggiore dissuasione nei confronti di questi atti. Appunto, il "diritto può essere un'arma".

Probabilmente proprio per considerazioni di questo tipo, oltre a quelle più generali riguardo i mezzi tecnici per irrobustire le azioni di pressione diplomatica, il nostro governo, come detto in apertura, ha proposto alla Nato di studiare le possibilità di cominciare a mettere in campo sistemi sofisticati di controllo informativo delle violazioni delle tregue e dei diritti (Violation Information System, VIS).

Riteniamo che una componente non-letale utile all'innovazione dei mezzi per il peacekeeping da sviluppare al più presto sia proprio quella dei sistemi di imputabilità. Tra i molti vantaggi, da immettere in una matrice razionale costi/benefici, va sicuramente considerato che tali sistemi sarebbero strumento di trasferimento della legalità, per intanto indiretto, in quei paesi dove per guerra in atto o altri motivi la legalità stessa è stata sospesa. Proponiamo, quindi, la priorità dello sviluppo di questo settore del non-letale proprio per l'enorme vantaggio etico, politico, dissuasivo e regolativo che esso può produrre.