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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2003-4-14L' Arena,
Giornale di Vicenza,
Brescia Oggi

2003-4-14

14/4/2003

La liberazione dell’economia

L’attesa del mercato è che la conclusione delle fasi belliche più acute della liberazione dell’Iraq liberi anche le forze economiche che sono rimaste incatenate dall’incertezza nei mesi precedenti. Cioè dal dubbio che l’azione andasse male e/o provocasse un effetto domino. Tale scenario di caso peggiore non si è realizzato, anche se qualche grosso guaio non è ancora escludibile. Quindi il mercato ha ridotto di molto, pur non totalmente, la percezione di rischio e torna a concentrarsi sugli aspetti "normali" dell’economia. E interessante capire come le valuterà. E lo è, in particolare, nella settimana che comincia oggi, con particolare riferimento al mercato finanziario. Questo, tipicamente, sconta in anticipo le tendenze creando un effetto di profezia autorealizzantesi che poi, se confermata in senso ottimistico, consolida il buon umore degli investitori chiamandone sempre di più (effetto volano) ad assumere atteggiamenti e comportamenti espansivi. Ci sono le condizioni affinché ciò avvenga?

Nella realtà si osserva l’incrocio tra due tendenze: (a) schizza in alto la fiducia finora compressa dalle paure; (b) ma l’economia reale è ancora nel trend discendente o stagnante, sia in America sia in Europa, dovuto alla convalescenza triennale dopo i colpi dello sgonfiamento della bolla degli anni ’90, degli scandali finanziari e dell’11 settembre 2001. La sensazione è che la percezione del peso relativo alla secondo punto possa frenare o amplificare l’effetto del primo. Momento delicatissimo. Perché se il mercato non rimbalza presto allora si affermerà l’idea che l’economia è ancora strutturalmente debole e molti rinvieranno al 2004 le decisioni di nuovi investimenti sia finanziari sia industriali. Se ciò accadesse il 2003 si chiuderebbe maluccio in termini di Pil, crescita delle Borse e riassorbimento della disoccupazione. Cosa che non metterebbe in ginocchio l’America, che comunque si pensa crescerà, in termini di Pil, attorno al 2,5% nel caso meno favorevole, ma l’eurozona sì. Per la quale sarebbe un mezzo disastro stagnare attorno all’1% anche nel 2003 dopo due anni neri. Anzi un disastro quasi pieno perché il sistema politico europeo ha bisogno di una forte crescita per poter tentare delle riforme di efficienza, la cui mancanza rende l’economia continentale endemicamente gracile. Infatti le riforme non si riescono a fare nei momenti grigi in quanto richiedono finanziamenti straordinari. Per esempio, la sicurezza di un plus di entrate per compensare il rischio di deficit dato dalla detassazione.

Cosa succederà? Il problema è dato dal fatto che l’economia europea non ha comunque forza propria per crescere e dipende dalla locomotiva americana per trainare le esportazioni. In particolare della Germania i cui andamenti – terribili nel presente – dipendono massimamente dall’export. Dal quale dipende anche il nostro intraeuropeo nonché, tra le altre cose, la quantità di turisti tedeschi che arrivano in Italia. In sintesi, la catena di benefici o malefici che alla fine arrivano a noi è appesa alla forza della locomotiva americana.

Tirerà? Le famiglie statunitensi hanno ripreso a comprare beni durevoli, l’indice di fiducia risale. Inoltre il costo del denaro è ai minimi storici e le Borse così basse da far ritenere agli analisti che tutto sia pronto per un nuovo boom una volta liberati, appunto, dall’incertezza geopolitica. Ma è difficile dire se siano buoni abbastanza per sortire un effetto traino di tale forza da muovere anche i nostri vagoni. E se la massima spinta possa avvenire in tempi brevi.

Sopra ho detto che il mercato ha ridotto in buona parte la percezione di rischio geopolitico, ma ne resta ancora un po’. Non tanto, ma sufficiente per moderare l’entusiasmo. E sembra che il mercato abbia bisogno di ulteriori conferme per liberare tutto il potenziale espansivo di cui dispone. Ciò sposta di qualche mese il boom. La sua intensità poi, sarà determinata anche dal ritorno dei capitali sul dollaro. Fatto essenziale che tirerebbe un po’ giù l’euro permettendo maggiore competitività all’export europeo. E che darebbe una leva in più, per dollaro forte, alla crescita delle Borse americane. Fenomeno che accenderebbe il turbo nel capitalismo globale. Ma proprio su questo punto ci sono luci ed ombre. Gli Usa hanno interesse a mantenere il dollaro relativamente basso per un certo periodo allo scopo di favorire il loro settore manifatturiero ancora in convalescenza. Non è detto, poi, che i risparmiatori tornino subito in Borsa con l’entusiasmo dimostrato nel passato. Resta nella memoria, infatti, la brutta botta presa a causa di una finanza irresponsabile (1996-2002). Per esempio, quasi, il 70% degli americani ha posizionato i propri portafogli su investimenti meno rischiosi. Quanti di questi, ed in quanto tempo, torneranno ad impieghi più rischiosi resi appetibili dalla fiducia di una crescita prolungata? I segnali indicano che tale migrazione dal cassetto all’investimento sta avvenendo, ma non si riesce ancora a capire se sarà di massa e veloce. Quindi è prudente aspettarsi un ottimismo che crescerà non "a razzo", ma più probabilmente a "a mongolfiera". Almeno inizialmente. Poi, a metà dell’ascesa, il pallone potrà trasformarsi in missile. Quindi possiamo dividere in due fasi critiche lo scenario dei prossimi mesi. La prima, che riguarda la prossima settimana e successive dovrà confermare la ripresa dell’ottimismo, ma difficilmente sarà a pieni giri . Poi, su questa base, ci potrebbe essere verso maggio – giugno un "boomino". Se così ce la faremo a crescere ben nel 2003. Se no dovremo aspettare il 2004 per la guarigione.

(c) 2003 Carlo Pelanda
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