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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2002-7-22L' Arena,
Giornale di Vicenza,
Brescia Oggi

2002-7-22

22/7/2002

Il globo su di noi

Periodicamente bisogna dare un’occhiata al bosco, dall’alto, per capire meglio cosa può capitare all’albero che ci interessa. Vediamo quindi le tendenze ed i punti critici dello scenario globale per poi riportarli all’Europa ed all’Italia.

Per buona parte degli anni ’90 e fino a qualche mese fa il mercato mondiale ha funzionato con il seguente schema. L’America, con un modello politico che tende a massimizzare l’efficienza economica e quindi una grande capacità di consumo (capitalismo di massa),  ha importato da tutto il mondo più di quanto esportasse ed il suo sbilancio commerciale veniva compensato da un continuo flusso di capitali globali sul dollaro. Per questo andato alle stelle fino a poco fa. Noi europei continentali ed i giapponesi abbiamo avuto un notevole vantaggio da questo modello. Abbiamo potuto sopperire alla poca crescita interna soffocata dal consociativismo o statalismo con un plus di esportazioni. Ma abbiamo anche ricevuto un minus pesante: la debolezza della moneta. Che ha aumentato l’inflazione importata e prodotto altri guai. Ma questi svantaggi sono stati accettati dai governi in relazione ad un problema maggiore, cioè quello di fare le riforme di efficienza nelle società nazionali, fortemente ostacolate, ai limiti del conflitto sociale aperto, da sinistre e sindacati, in Europa, e dal protezionismo corporativo in Giappone. Pertanto, in qualche modo,  si è creato per un decennio uno strano equilibrio. Ora questo si sta rompendo a causa dell’indebolimento, pur relativo, del dollaro. Due scenari. Quando le Borse si rialzeranno – nel punto che incrocia la buona crescita dell’economia, lo sgonfiamento della bolla azionaria del passato verso valori più realistici ed un almeno parziale ritorno della fiducia scossa dagli scandali contabili -  i capitali torneranno in America e l’euro scenderà di nuovo. Ciò farebbe durare lo strano equilibrio appena descritto. Ma, seconda possibilità, un ritardo in questa dinamica oppure una stabilizzazione 1 a 1 del rapporto di cambio tra i due porrebbe agli europei l’immediata necessità di spuntare più crescita all’interno per compensare quella perduta sul lato esportativo. Cosa che implicherebbe una maggiore urgenza delle riforme del mercato del lavoro, fiscale e, in generale, dei costi pubblici per ridurli. Il lettore ed il commentatore non possono influire su questi grandi trend mondiali le cui conseguenze poi ci piombano in casa. Ma è utile sapere, in particolare per noi italiani, che la scelta è tra conflitto sociale (reazione alle misure urgenti di efficientazione competitiva) o più inflazione e povertà (ritorno all’euro debole). I governi tenteranno di trovare una via di mezzo per attutire le conseguenze negative dell’una o altra opzione. Probabilmente ci riusciranno, ma va segnalato che il “comodo” strano equilibrio centrato sulla locomotiva America appare scosso non solo contingentemente, ma sostanzialmente. Comunque, qui è importante segnalare un fatto: ormai le grandi scelte nazionali relative al modello economico – cioè più o meno stato sociale e protezioni – non appartengono alla sovranità nazionale, ma a fattori esterni del tipo detto. Sempre più condizionanti. Con la complicazione che un errore di scelta nazionale (tipo ritardare la competitività) comporterebbe danni economici molto più gravi di quelli del passato.  

Questo mondo che improvvisamente si allarga e connette tutto con tutto il resto (interdipendenza globale) trova un’Unione Europea che ancora resta ancorata ai suoi vecchi piani di, prima, costruire una coesione interna, tipo superstato federale, e solo poi occuparsi dell’esterno. La globalizzaizone sta rendendo impossibile questo progetto, per altro da sempre segnato da un contrasto tra consolidamento (deepening) e allargamento (widening). L’Unione sempre di più dovrà adattare la propria agenda  a ciò che succede nel globo. Per esempio, la costruzione di un Difesa europea (prevista ai primi del 2003) non potrà seguire la propria agenda calibrata sui requisiti interni di ogni nazione. Perché è in atto un riordinamento globale attuato sia con bonifiche anche militari dei luoghi disordinati (tipo Afghanistan) sia con interventi di sostegno ai Paesi poveri o a rischio di cadere nelle mani di forze irrazionali, per esempio i fondamentalisti islamici. Quindi la politica di  sicurezza e quella militare europea sarà decisa in base alle esigenze di questa missione in atto e non da agende solo interne. Un altro esempio è la cooptazione della Turchia dell’Unione. Finora se ne è discusso facendo prevalere argomenti del tutto interni all’eurosalotto, in sostanza ritardanti. Ma adesso bisognerà decidere in fretta dove agganciare questo Paese anomalo nel suo essere avamposto degli interessi occidentali, ma parte organica dell’Islam, pur moderato, ed unico caso dove gli islamici abbiano separato realmente Stato e Chiesa. Evidentemente, se lo si lascia in mezzo al guado, si rischia di destabilizzarlo e portarci dentro il territorio europeo i disordini islamici. Stesso problema riguarda la Russia. Fino a poco fa era impensabile, per sua arretratezza, di cooptarla strettamente nell’Occidente. Ma ora è un partner essenziale per l’energia e per la sicurezza, la terza aquila, o Roma, senza le quali le prime due – Europa ed America – sarebbero più vulnerabili. Sono solo cenni, ma spero chiariscano come un globo che cambia condizionerà sempre di più dall’esterno le nostre scelte interne.

(c) 2002 Carlo Pelanda
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