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Carlo Pelanda: 2017-10-17La Verità

2017-10-17

17/10/2017

La necessità di un compromesso fiscale

L’interesse italiano nella questione catalana è che questa non faccia sorgere dubbi nel mercato finanziario sulla sostenibilità del suo debito pubblico che ne aumentino il costo di rifinanziamento e il rischio percepito d’insolvenza, a scapito della stabilità bancaria e dell’ancora fragile ripresa economica. Tali dubbi sono possibili se la pretesa d’indipendenza della Catalogna, o il protrarsi dell’incertezza, facessero pensare agli attori di mercato che la Spagna dovrà sostenere il proprio debito senza più il contributo di una regione di circa 7,5 milioni di abitanti che contribuisce per 1/5 al Pil nazionale: il rapporto debito/Pil mostrerebbe un destino di insolvenza. La Catalogna potrebbe offrire, in teoria, di farsi carico di una quota proporzionale del debito. Ciò, tuttavia, non dissiperebbe i dubbi. Senza il contributo della regione più ricca della Spagna, lo sbilanciamento del rapporto debito/Pil farebbe prevedere l’insolvenza prospettica. Inoltre, ci sarebbe il problema della moneta con la quale Barcellona dovrebbe ripagare il debito dopo il rifiuto dell’Ue di riconoscerne l’indipendenza e, conseguentemente, di lasciarle usare l’euro pur non facendo parte dell’eurosistema, come nei casi di Montenegro e San Marino. Questi interrogativi sulla crisi catalana hanno un  potere di contagio destabilizzante al riguardo dell’affidabilità del debito italiano. L’idea che prevale nel mercato è che l’Italia, con un debito troppo alto in relazione al Pil e con possibili problemi di governabilità dopo le elezioni del 2018, possa restare affidabile solo a condizione che il sistema europeo sia stabile, mostri una capacità di intervento rapido per la soluzione delle crisi e conceda all’Italia, come ad altri Stati disordinati o nei guai, situazioni favorevoli. Giusto o sbagliato che sia, nei fatti il mercato – chi per protezione dei propri investimenti chi per speranze speculative ribassiste - opera con questo criterio: la destabilizzazione della Spagna, anche perché segnale di debolezza dell’Ue, innescherebbe il deflusso dei capitali dall’Italia e da altri e una crisi di fiducia sull’euro difficilmente bilanciabile da immissioni di megaliquidità da parte della Bce, come fatto da Draghi a parole nel 2012 e nei fatti dal 2014 in poi. Il punto: se una moneta e un debito non mostrano di essere sostenuti da un forte “patrimonio politico”, allora valgono zero.  Per tale motivo il governo Rajoy ha il sostegno degli altri europei per azioni repressive che impediscano la secessione catalana.

 Tale sostegno è stato formalizzato come non intervento in una questione interna, ma l’ingaggio dell’Ue potrebbe essere necessario. Se Madrid sospendesse l’autonomia catalana, applicando l’articolo 155 della Costituzione, e lo facesse in modi duri, ci sarebbe il rischio di una prolungata instabilità in Catalogna che produrrebbe comunque quei dubbi che per l’Italia è una priorità evitare. Pertanto l’interesse italiano è che si arrivi a un compromesso. Questo implica una forte autonomia fiscale, cioè riconoscere alla Catalogna il diritto di trattenere per reinvestimenti in loco una parte rilevante delle tasse invece di mandarle nelle casse centrali per redistribuzione nazionale. L’autonomia fiscale certamente calmerebbe gli animi, permettendo agli indipendentisti di poter mostrare un successo concreto, incentivandone così la razionalità pragmatica che finora è mancata. Tuttavia, senza i soldi catalani, Madrid potrebbe avere difficoltà a mantenere la spesa sociale in altre parti della Spagna e ciò innescherebbe una crisi generalizzata. Paradossalmente, è più razionale sul piano economico per Madrid abolire l’autonomia catalana che accettare un compromesso capace di definanziare lo Stato centrale. Pertanto, o si trova un compromesso nazionale sostenibile  oppure l’Ue deve intervenire, modificando l’attuale postura di non intervento e solo sostegno esterno al governo di Madrid, per generare risorse sia dirette sia basate su un rilassamento degli eurovincoli utili a finanziare la stabilità della Spagna. Non è chiaro se la Spagna possa farcela da sola o se abbia bisogno dell’aiuto dell’Ue, ma il secondo caso appare probabile. Tale soluzione, inoltre, sarebbe di nostro interesse nazionale perché creerebbe un precedente per l’autonomia fiscale delle Regioni italiane in una situazione dove quelle più economicamente forti come Lombardia e Veneto non riescono a rinnovare il loro sviluppo via investimenti modernizzanti per eccesso di drenaggio fiscale, riducendo così il loro effetto di traino per il resto dell’economia nazionale. In conclusione, Roma dovrebbe promuovere l’ingaggio dell’Ue per facilitare un compromesso fiscale tra Madrid e Barcellona che anche la aiuti a predisporre, pur in clima non secessionista, quelli con Milano, Venezia e altri in Italia.   

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