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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2004-4-24Il Foglio

2004-4-24

24/4/2004

Chiarimento sulla Cina

La Cina è da tempo la bestia nera dei think tank occidentalisti. Alla fine degli anni ’80 andarono in tilt a causa di un dilemma: puniamo la Cina perché non democratizza e uccide gli studenti oppure accettiamo la teoria che ritiene destabilizzante la democratizzazione? La seconda, come spiegata dalle èlite di Pechino, fu corretta nell’immediato, ma la conseguenza era inaccettabile sia sul piano morale sia su quello della stabilità di lungo periodo. E fu cortocircuito. Ancor più evidente a metà degli anni ’90 quando nei think tank la Cina fu individuata sia come principale nemico futuro sia come miglior business. L’indecisione a livello di “grande strategia” fece prevalere il criterio del vantaggio immediato su quello prospettico: la Cina chiamava capitali e chiedeva di essere cooptata  offrendo in cambio enormi opportunità. L’obiezione che così si finanziava la futura prevalenza dell’antioccidentalismo fu bilanciata dalla considerazione che c’era bisogno di un competitore evoluto capace, dopo l’implosione dell’URSS, di stimolare nuovamente gli investimenti in tecnologie di superiorità. Tutti furono contenti di tale dottrina del competitore-partner. Ma, in realtà, fu un vuoto di teoria: nei think tank non si trovò il modo di bilanciare l’interesse ad estendere la globalizzazione economica con quello di inquadrarne le potenze emergenti entro l’ordine occidentale ed un criterio condizionante di stabilità economica interna ed internazionale. Infatti la Cina non preventivamente inquadrata sta portando nel mercato globale sia una competizione eccessiva per costi sia una crescente probabilità di sua destabilizzazione interna per difetto di equilibratori, di cui ci sono i primi sintomi. Questi sono nascosti dal modo con cui Pechino rende opache le statistiche e le conseguenti valutazioni di istituzioni quali il Fmi. Ma la scenaristica ha imparato ad usare analisi indirette che svelano un po’ di più verità: la Cina è in una situazione di pauroso squilibrio perché non consolida attraverso equlibratori tipici – welfare, democrazia, legalità e ordine finanziario – lo sviluppo già conquistato. E può reggere tale situazione solo attuando una concorrenza sleale a livello globale che bilanci con il sovrafinanziamento esterno il caos interno. Il punto: glielo lasciamo fare o no? Una simulazione tecnica credibile mostra che il danno della slealtà cinese è circa cento volte minore di quello prodotto dalla eventuale implosione del sistema. Quindi siamo costretti a lasciarglielo fare. Ma d’ora in poi nei think tank non avremo più dubbi sull’utilità di ordinare brutalmente la Cina al costo di rinunciare a vantaggi immediati.

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