Le cronache si concentrano sulle sorti specifiche dell’azienda Alitalia e sui trambusti per la sua difficile riorganizzazione. Ma per l’interesse nazionale italiano, quindi per tutti noi, sono più importanti gli aspetti sistemici di questo settore di mercato che non la sopravvivenza o meno di una specifica azienda in esso.
L’Italia ha una enorme potenziale di attrazione turistica sia stagionale (coste e montagna) sia annuale (città d’arte e soggiorni invernali in clima mite per abitanti dei Paesi “freddi”). Tale potenziale non è ancora così ben organizzato da essere pienamente sfruttato, cosa che varrebbe almeno un punto di Pil all’anno in più se ci riuscissimo, giusto per dare un’idea della rilevanza del settore. La priorità è il riuscirci. Ma quella collegata è l’avere sul territorio nazionale una quantità di aeroporti e di connessioni estere che permettano l’aumento dei flussi turistici dall’esterno, diffusi nei territori utili, a costi competitivi. Pertanto il governo dovrebbe trattare la componente di trasporto aereo del ciclo turistico con lo scopo di ottenere più voli, da tutto il mondo, con la possibilità di utilizzare un’ampia varietà di scali. In un mercato liberalizzato, dove il governa tutela la concorrenza, il pensionato norvegese potrà venire a svernare in Sicilia, se questa si attrezzasse, invece che in Spagna, pagando meno di 100 euro il viaggio. Così dal Giappone, pagando evidentemente un po’ di più, per visitare le nostre antichità. Oggi la forma del mercato non è così aperta e le infrastrutture così attrezzate per aumentare tali flussi. C’entra Alitalia? In parte. Per favorire la compagnia di bandiera, negli ultimi anni, il sistema complessivo ha avuto delle strozzature che hanno impedito di configurare il mercato nel modo migliore. Per questo viene spontanea la domanda: che senso ha tenerci una “compagnia di bandiera” se per favorirla poi perdiamo affari? Tale domanda aveva senso per la vecchia Alitalia, ma lo ha anche per la nuova. Pur privatizzata, se per favorirla le si concede un monopolio di fatto su alcune rotte e la riduzione della concorrenza per permetterle di tenere alti i prezzi dei biglietti, allora proseguirà il danno all’interesse nazionale. Il governo Berlusconi ha fatto bene ad impedire l’acquisizione di Alitalia da parte di Air France perché questo avrebbe voluto dire, nonostante le assicurazioni, spostare molto traffico turistico verso la Francia a danno dell’Italia. Ma, a parte il rientro dei francesi dalla porta di servizio, ha fatto male a non riconsiderare tutta la questione Alitalia dando priorità all’interesse sistemico nazionale. Questo implicherebbe: (a) la liberalizzazione totale del traffico aereo; (b) regole che assicurino la concorrenza tra aeroporti ed incentivino il loro potenziamento; (c) facilitazioni che incentivino la costruzione di nuove infrastrutture connesse con l’espansione e la qualificazione diffusa del settore turistico. Che sorte avrebbe Alitalia in questo scenario di transizione dal mercato aereo protetto a quello liberalizzato? Quella di una normale azienda: ristrutturazione in base al conto economico e concorrenza con altre, affari suoi. Ma ciò creerebbe un disastro negli aeroporti di Roma e Milano? Improbabile perché gli spazi eventualmente lasciati liberi da Alitalia sarebbero certamente riempiti da altre aziende, di tutto il mondo, per entrare nel ricco mercato italiano. Se incentivate, appunto, dalla liberalizzazione. A noi non deve interessare un’azienda specifica, ma che ce ne siano tante in modo da pagare meno i biglietti ed avere più turisti che lascino il soldo.