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Carlo A. Pelanda
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2014-10-13

13/10/2014

Tanto movimento ma pochi effetti

Le tante misure economiche che il governo sta preparando avranno un effetto stimolativo sulla crescita o no? Da un lato, il governo sta passando da una posizione passiva di priorità del rigore, tenuta da quelli precedenti, ad una attiva di priorità della crescita. Dall’altro, Tale attivismo resta ancorato al principio di preservare la spesa dedicata agli apparati pubblici, pur limandola, e ciò impedisce il più importante atto stimolativo che è la detassazione sostanziale. Si nota infatti che il governo mantiene lo stesso modello di politica di bilancio in atto da più di un decennio: 2/3 di tagli alla spesa, 1/3 di aumento delle tasse, ma il taglio riguarda gli incrementi della spesa stessa e non la sua riduzione assoluta. La novità del governo Renzi è quella di utilizzare di più la tecnica di togliere tasse in qualche settore, o coprire spese quali gli 80 euro, aumentandole in altri. Tale tecnica non va necessariamente vista come un trucco, ma come l’applicazione di una dottrina fiscale che non punta a ridurre le tasse, e quindi lo statalismo, ma a tagliarle dove hanno un effetto depressivo, alzandole dove questo è minore. Il ministro Padoan è uno specialista di questa tecnica che deriva dal riformismo socialdemocratico, ideologia che per altro ispira l’azione di Renzi, il cui obiettivo è quello di trovare la compatibilità tra Stato delle tutele ad alta fiscalità ed un mercato vitale. Questa impostazione ideologica, per altro basata su un mandato elettorale di sinistra, fa sì che il movimento stimolativo non trovi uno spazio sufficiente nel bilancio per tagli forti di tasse. E non lo troverà in quanto il vincolo al pareggio di bilancio, sia europeo sia costituzionale, costringerebbe a tagli violenti e massicci di spesa che prima di produrre effetti di forte crescita peggiorerebbero per qualche mese la situazione, oltre a produrre licenziamenti nel settore pubblico, cosa che affonderebbe il governo. Infatti Renzi, per segnalare la nuova stagione riformista, ha preferito concentrare il cambiamento, per altro minimo, sulle norme del lavoro dove il dissenso, pur marcato, è potenzialmente minore di quello che si accenderebbe se, per dire, il governo annunciasse un taglio di spesa pubblica, con riduzione dei dipendenti, di 100 miliardi in tre anni per tagliare le tasse di un ammontare equivalente: alla flessibilizzazione dei contratti di lavoro questi governo e maggioranza potranno resistere, ma ad uno smontaggio forte della spesa pubblica improduttiva certamente no. In conclusione, il nuovo attivismo del governo avrà poco effetto perché non ridurrà l’effetto depressivo dei pesi fiscali.

(c) 2014 Carlo Pelanda
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