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Carlo A. Pelanda
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2017-2-21

21/2/2017

La priorità tagliadebito

L’interesse nazionale prioritario è che non scoppi, come successe nel 2011, una crisi di fiducia sul debito italiano o via contagio del caso greco o via divergenze sull’aggiustamento di bilancio richiesto dalla Commissione all’Italia, in una catastrofica combinazione delle due cose. Lo scenario, per qualche mese, è favorevole perché Commissione ed eurogoverni vogliono evitare turbolenze durante il ciclo elettorale del 2017. Il governo greco mostra di voler approfittare di questa situazione per attutire il rigore richiesto. Il tentativo di Atene è comprensibile perché le condizioni richieste dai creditori per concederle risorse sono insostenibili, per esempio aumento delle tasse e riduzione delle pensioni, in un quadro che mostra come unica soluzione il dimezzamento del suo debito. Probabilmente così avverrà nel 2018, ma nel frattempo, e dopo, la questione greca resterà aperta e contagiante. Per questo sarebbe incomprensibile un atteggiamento del governo e del parlamento italiani che non chiudesse subito la frizione con la Commissione in materia di aggiustamenti di contingenza – i 3,4 miliardi da togliere dal deficit – e, soprattutto, non fornisse rassicurazioni per la futura riduzione strutturale dell’eccesso di debito. L’Italia è in condizioni da non potersi permettere divergenze aperte con l’Ue: crescita troppo fiacca per sostenere il debito abnorme, e crescente, complicata dalla violazione di impegni formali per il riequilibrio della finanza pubblica. Non tanto per le punizioni che l’Ue potrebbe infliggerci, ma per il fatto che gli attori del mercato globale che rifinanziano il debito italiano, quest’anno per quasi 400 miliardi, pretenderebbero un maggiore premio di rischio per comprare i titoli italiani, fino all’insostenibilità, sfiorata nel 2012 con esiti depressivi devastanti, se vedessero una frizione crescente tra Italia e Ue che esporrebbe la prima ad una perdita di garanzie “di fatto” da parte della seconda. In sintesi, dobbiamo, anche bestemmiando, convergere con l’Ue per difendere la credibilità del debito, non avendola come nazione sovrana e dovendo importarla dall’Eurozona, cioè da Berlino. Orrendo? Certo, ma è così. E dobbiamo uscirne con una strategia fredda, non emotiva. Il governo ha una posizione di convergenza con l’Ue, ma non ha una strategia per togliere l’Italia dal pericolo del debito e dei contagi. Possiamo comprendere la difficoltà a reperire 3,4 miliardi per chiudere la frizione con l’Ue - così segnalando incoscientemente ai creditori che l’Italia ha problemi a trovare un cifra irrisoria - a causa del disordine politico e del clima elettorale. Ma sarebbe imperdonabile se il governo non tentasse nei prossimi mesi una mossa rassicurante e credibile per la riduzione strutturale del debito. Che possibilità ha? Potrebbe annunciare una futura operazione patrimonio contro debito per ridurne una parte, intanto predisponendo i precursori tecnici per poterla fare realmente nella prossima legislatura: censimento dei beni disponibili e creazione del veicolo societario dove concentrarli per valorizzarli e renderli oggetto di elaborazioni finanziarie. Tale azione segnalerebbe che l’Italia si dota seriamente degli strumenti operativi per abbattere in un tot di anni dai 100 ai 400 miliardi il debito ora sopra i 2.300 miliardi, attraverso, per esempio, l’emissione di obbligazioni con sottostante il rendimento del patrimonio pubblico selezionato (immobili, partecipazioni e concessioni) che verranno date in pagamento ai possessori di titoli di debito quando giungono a maturazione, così riducendo il fabbisogno di rifinanziamento e, conseguentemente, il debito stesso. Il formalizzare gli strumenti preliminari per attuare un riequilibrio complessivo della finanza pubblica, liberando più spazio di bilancio per detassazioni e investimenti a favore di più crescita e, conseguentemente, migliorando in prospettiva il rapporto debito/Pil sarebbe un atto sorprendente, in positivo, e convincente. Poiché, diversamente dalla Grecia, l’Italia ha una massa enorme di patrimonio utilizzabile – dai 600 agli 800 miliardi - e, diversamente dalla Spagna, è una potenza industriale, quindi molto reattiva alla stimolazione fiscale, con l’operazione patrimonio contro debito l’Italia potrebbe uscire dalla lista delle nazioni periferiche a rischio d’insolvenza ed entrare in quella delle nazioni forti, come si merita. La strategia è dare al mercato e all’Ue un motivo concreto – la formalizzazione degli strumenti, appunto – per sospendere la profezia di insolvenza dell’Italia e invertirla verso una positiva. Tale gestione della profezia non è alla portata del governo a causa di un parlamento destabilizzato e del clima elettorale? Se i partiti/leader che vorranno governare si accorgessero che l’operazione tagliadebito qui detta salverebbe l’Italia e permetterebbe di ridurre le tasse senza tagliare spesa pubblica, quindi buona sia a sinistra sia a destra sia sulle stelle, questo progetto nazionale sarebbe fattibile.

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