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Carlo A. Pelanda
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2009-8-3

3/8/2009

Torna la speranza

Chi in meritate vacanze, chi in sudato lavoro, sbircia con preoccupazione le opinioni economiche nel timore che il peggio della crisi, in Italia, debba ancora avvenire sul piano dell’occupazione. Paura dell’autunno. Da un lato questa è giustificata dai dati di calo del Pil previsto per il 2009 (attorno a meno 5%). Dall’altro, i dati recenti mostrano una crescita della disoccupazione molto inferiore a quanto previsto. Il fenomeno è anomalo. Tipicamente, al calo del Pil e della produzione industriale corrisponde, con uno scarto di qualche mese, un impatto proporzionale sull’occupazione. La notizia è che tale impatto, al momento, è inferiore a quanto lo standard di calcolo ha predetto. Possiamo sperare?

Sono stati sbagliati i calcoli di Pil  oppure l’impatto della è più differito nel tempo per effetto degli ammortizzatori o altro? Qualche giorno fa un editoriale su Il Foglio ha ipotizzato che i calcoli di Pil siano sballati. Qualche ragione nel dare questa spiegazione c’è. Per esempio,  il calcolo del calo del Pil statunitense nel primo trimestre è stato sottostimato, ma la previsione relativa al secondo è risultata troppo pessimistica. Per inciso, è al -1%. Ciò serve a dire che le misurazioni statistiche hanno qualche difficoltà a precisare – dappertutto - i fenomeni in atto. Ma secondo chi scrive la spiegazione si trova nel mix di due fattori: (a) probabilmente la crisi, pur grave  cedimento strutturale del mercato internazionale, è meno distruttiva di quanto temuto qualche mese fa; (b) gli ammortizzatori sociali messi in campo in Italia (e in Germania) non trasferiscono direttamente il calo del volume d’affari delle imprese al numero degli occupati. A indizio di tale spiegazione va presa la comparazione tra andamenti in America ed in Europa. Nella prima si registra che il picco di crisi temuto è un po’ minore del previsto, ma la disoccupazione cresce  in correlazione alla caduta dei numeri economici avvenuta ad inizio anno. In Europa tale correlazione appare minore, appunto, perché la disoccupazione è minore di quanto prevedibile in base alla crisi del mercato. Se gli ammortizzatori di tipo europeo, non esistenti in America, sono la causa principale della differenza, allora dobbiamo porci una domanda. Le risorse di ammortizzazione (cassa integrazione, ecc.) non sono infinite: basteranno a tenere l’occupazione elevata, in relazione al momento, fino alla ripresa dei mercati? Non è possibile rispondere oggi in base ai dati. Ma le sensazioni sono piuttosto buone, anche se non ottime. In Italia l’effetto cuscinetto contro la crisi non è dato solo dagli interventi di sostegno pubblico, ma dal fatto che le imprese hanno scovato risorse e soluzioni capaci di mantenerle in attività pur nella brutta situazione. Il mercato globale, pur ferito, non è morto e si sta riprendendo. Non sarà una ripresa né forte né veloce perché la riparazione della locomotiva mondiale americana sarà lunga. Ma, complessivamente, il mercato sta tornando a girare. Quindi, semplificando all’osso, che cosa può sperare o deve temere il lettore? A naso – maggiore precisione non è possibile al momento – direi che deve aspettarsi, in Italia, un impatto per l’autunno che è la metà di quello previsto qualche mese fa. Dalla crescita della disoccupazione del 2% in due anni stiamo passando ad uno scenario dove questa tende a salire dell’1%, al momento aumentata“solo” dello 0,5. Qualcuno avrà problemi, ma tali numeri non comportano una crisi di sistema. Pertanto chi perde lavoro potrà comunque trovarne uno nuovo in un mercato che resterà sufficientemente vitale. Il peggio pare veramente passato, la speranza torna.

(c) 2009 Carlo Pelanda
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