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Carlo A. Pelanda
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2009-2-9

9/2/2009

Il pericolo della profezia pessimistica

Gli osservatori esteri e del mercato internazionale hanno una visione pessimistica delle prospettive economiche dell’Italia. Il Fondo monetario prevede che nel 2010 saremo ancora in recessione. Il motivo di tale scenario è dovuto all’analisi che vede il sistema italiano troppo inefficiente, carico di tasse e vincoli e con poco spazio di stimolo fiscale interno per invertire velocemente la crisi. La scorsa settimana, nei saluti di congedo, l’ambasciatore statunitense Spogli ha espresso il timore di un declino dell’Italia per questi esatti motivi. Ma la valutazione più pessimistica riguarda la sostenibilità del debito pubblico italiano, riportata da una miriade di pubblicazioni, tra cui l’Economist. Con il Pil decrescente nel 2008, 2009 e 2010 il rapporto tra debito e Pil andrà dal 105% odierno al 110% ed oltre. Ciò aumenterà le difficoltà di rifinanziamento del debito stesso e ne aumenterà i costi. Da un lato, il mercato sta premiando la politica di Tremonti finalizzata a contenere il deficit a qualsiasi costo. Dall’altro, se l’Italia non crescerà per due anni il mercato stesso avrà più dubbi sulla nostra capacità di ripagare il debito e restare nell’euro. L’Italia è stata messa – dalla stampa specializzata - nel reparto dei Pigs (“porci” in Inglese: Portogallo, Italia stessa, Grecia e Spagna) cioè dei Paesi a rischio di insolvenza ed uscita dall’euro. E’ meglio dirci la verità e non nasconderla: l’Italia ha una pessima immagine esterna e ciò danneggia la nostra credibilità con la conseguenza di rendere più difficili le politiche di gestione e rilancio della crisi. Per questo deve dare al più presto una buona sorpresa e conquistare una valutazione ottimistica sulle sue prospettive. Ma potrà farlo?

Lo potrà a due condizioni: (a) dimostrazione di una maggiore capacità del governo di trovare soluzioni incisive ai problemi di inefficienza strutturale del Paese; (b) ma combinata con una migliore funzione di garanzia e sostegno da parte della Ue nei confronti dell’Italia. Con questo voglio dire che l’Italia ha uno spazio sovrano di miglioramento economico, volendo, ma ha anche bisogno di un puntello esterno e di un attestato di fiducia da parte della Ue. Per esempio, la mossa più ovvia in questa contingenza recessiva sarebbe quella di ridurre tasse, vincoli e costi burocratici per stimolare consumi ed investimenti interni in attesa che riprenda la domanda globale che traina le esportazioni, considerando che dopo la Germania siamo i secondi esportatori per volume nell’eurozona. Ma, visto il problema del debito detto sopra, il governo non può farlo. Inoltre non si può tagliare troppa spesa pubblica in fase di recessione. Quindi se l’Europa non da una mano l’Italia non ha strumenti sovrani sufficienti per avviare un ciclo di riforme di efficienza e competitive. Per altro la Ue ha l’interesse vitale che l’Italia, come gli altri Pigs, non vada troppo in difficoltà perché in caso di insolvenza del debito o cose simili l’euro rischierebbe la dissoluzione. Piuttosto che intervenire in fase di disastro sarebbe razionale prevenire. E sarebbe semplice. Per esempio, l’Italia riduce il debito con una vendita parziale del patrimonio e la Ue produce una garanzia su tale operazione. Ma il governo ancora non segnala un tale progetto, la Ue è ostile a politiche di questo tipo, in Particolare la Germania. In conclusione, per invertire la profezia negativa sull’Italia il governo dovrebbe dimostrare più determinazione e lucidità tecnica nel produrre soluzioni e l’Europa decidersi a dare risposte sistemiche e non frammentate alla crisi.

(c) 2009 Carlo Pelanda
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