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Carlo A. Pelanda
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2008-10-6

6/10/2008

Crisi amplificata da errori di gestione

I lettori si chiedono come si svilupperà la crisi economica e quanto li toccherà. Per capirlo è utile ricordare che la crisi ha una natura multipla generata da tre distinti, ma tra loro riverberanti, fattori depressivi.

  1. Pochi citano che il ciclo di crisi è stato avviato dall’impennata dei prezzi energetici ed alimentari a partire dal 2005. I governi europei ed americano sono stati colti di sorpresa e non hanno trovato, nel 2006 e 2007, politiche disinflazionistiche adeguate. Questo tipo di inflazione (“da costo”) non è selettivamente correggibile con la politica monetaria. Lo è solo sistemicamente. Si manda in recessione tutta l’economia così la domanda di petrolio di riduce e ciò ne abbassa il prezzo. Infatti le banche centrali, vista l’incapacità dei governi, hanno alzato il costo del denaro per ottenere tale effetto. In America l’aumento dei tassi ha reso insostenibili i mutui contratti dai meno abbienti. Alla fine del 2006 sono iniziate le insolvenze negli Stati Uniti che poi hanno dato il via alla crisi “specifica” di fiducia finanziaria.

Secondo. I mutui insolventi, finanziarizzati entro pacchetti sintetici venduti globalmente, sono entrati nei bilanci di molte banche creando perdite, in alcuni casi superiori ai mezzi propri. Tale situazione, non grave di per se in quanto si trattava di un buco complessivo non superiore ai 600 miliardi di dollari, è stata amplificata dal fatto che le banche hanno smesso di prestarsi soldi l’un l’altra temendo insolvenze. Ciò ha semicongelato il mercato dei capitali.

Terzo. Dall’estate del 2007 a quella del 2008 ci sono stati tre errori formidabili che hanno reso “sistemica” la crisi finanziaria. Le banche avrebbero dovuto ricapitalizzarsi. Le Banche centrali, ed indirettamente i governi, avrebbero dovuto costringerle. Ma “ricapitalizzazione” significa modificare gli assetti azionari e quindi il potere nell’azienda. Molti manager hanno preferito correre il rischio di nascondere le perdite in bilancio piuttosto che rischiare il posto. Per questo si sono trovate, quasi tutte le grandi in America ed in Europa, ai limiti del fallimento. Il terzo errore è stato fatto dalla Fed statunitense che ha lasciato “fallire” (in realtà in amministrazione controllata) Lehman Brothers. Ciò ha aumentato la percezione del rischio di fallimenti a catena ed una crisi di fiducia totale che ha congelato il credito e messo in ginocchio parecchie banche (non italiane) più dipendenti dal credito a “leva” finanziaria. Qui eravamo la settimana scorsa.

La situazione ha richiesto interventi di emergenza, fatti in velocità negli ultimi giorni, per ricapitalizzare le banche. In America è stato scelto un modello indiretto (legge Paulson). In Europa diretto (gli Stati hanno comprato azioni). Funzionerà? Molto probabilmente sì. Ma ci vorranno dai tre ai sei mesi per la stabilizzazione del sistema finanziario. La restrizione del credito dell’estate 2008 ha peggiorato la tendenza recessiva pre-esistente ed il suo picco atteso per l’inverno sarà pesante. Ma alla metà del 2009 è probabile che l’America ripartirà, pur piano. L’Europa seguirà dopo sei mesi. La buona notizia è che le Banche centrali, compresa quella europea, ridurranno i tassi ed i costi del credito. Inoltre la recessione farà calare i prezzi dell’energia. Lo scenario non è poi così nero considerando l’abbattimento dell’inflazione. Tuttavia i comportamenti di governi, Banche centrali ed attori privati hanno amplificato la crisi, di fatto creandola. Ciò segnala un nuovo rischio: la crisi di capacità dei gestori. Ma  lo calcoleremo a tempesta finita, intanto usciamone.     

(c) 2008 Carlo Pelanda
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