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Carlo A. Pelanda
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2007-10-22

22/10/2007

L’euro è in trappola

Sui problemi interni c’è molta e buona cronaca. Ma siamo in un ciclo del mercato dove il problema maggiore per l’economia italiana, nel breve-medio termine, viene dall’esterno. Nello scenario del 2008 e fine 2007 c’è il rischio di un conflitto in Iran che  rischia di creare una crisi petrolifera simile a quella del 1973, cioè con devastante impatto recessivo mondiale. E comunque i prezzi dei combustibili stanno andando alle stelle anche per la domanda crescente dei Paesi a rapida industrializzazione quali Cina ed India. Ed è un grosso problema. Ma è perfino più grave un altro connesso: il cambio dell’euro troppo elevato su dollaro, yen e yuan cinese sta massacrando le esportazioni europee, in particolare quelle italiane.

Perché i due problemi sono connessi? La Banca centrale europea, manovrando i tassi di interessi che influenzano i flussi di capitali/valute, cerca di mantenere l’euro molto alto affinché il rialzo prezzo del petrolio espresso in dollari venga annullato e non produca inflazione. In effetti gli importatori stanno pagando molto meno le merci, ma gli esportatori stanno soffrendo: hanno i costi in euro alto e gli incassi in dollari, yen o yuan bassi. I profitti scendono o le quote di export si riducono mettendo a rischio la crescita. Infatti la scorsa settimana i presidenti di tutte le “Confindustrie” europee hanno firmato una lettera che invocava un cambio dell’euro più moderato. L’Unione europea si sta preparando a fare pressioni sulla Cina affinché rialzi il cambio dello yuan (sottoprezzato di circa il 40%) e sull’America affinché il dollaro freni la sua caduta. Ma non otterrà niente. Pechino ha già risposto di no ad analoghe pressioni americane, stimolate da un impatto competitivo che sta impoverendo la classe media statunitense, negli ultimi tre anni. Washington lascerà cadere ancora il valore di cambio del dollaro, o comunque non lo difenderà, perché ciò stimola l’export statunitense e contiene lo destabilizzante deficit commerciale (più importazioni che esportazioni). Ma così ridurrà le importazioni dall’Europa e non certo dall’Asia. In sintesi, alla fine, saremo noi a pagare con meno crescita tutto il riaggiustamento finanziario globale. La possiamo chiamare una “trappola”. E ci siamo caduti per  colpa europea e non solo delle “turbate” di Cina, America e Giappone. La Bce potrebbe ridurre il costo del denaro - così anche salvando le tante famiglie europee in difficoltà perché non riescono a pagare i mutui a tasso variabile  – e ridurre la remunerazione degli investimenti finanziari in euro e di conseguenza il suo valore di cambio. Ma non lo fa perché preferisce la recessione/stagnazione al rischio pur minimo di inflazione. L’altro modo per difenderci dal cambio decompetitivo è quello di aumentare la crescita interna detassando e favorendo gli investimenti nonché i consumi. La Germania ha preso questa strada, la Francia la segue, ma la rigidità del modello politico economico continentale non permette riforme di efficienza sostanziali. Il governo Prodi, poi, manco le tenta. E Padoa Schioppa perfino elogia, oltre che le tasse, perfino l’euro alto, non cogliendo la differenza tra salutare forza di una moneta e trappola. Inoltre sostiene che l’euro alto educa le aziende ad operare con maggiore efficienza. Certo, licenziando. In conclusione, la situazione detta mette a serio rischio la crescita europea e fa temere che l’Italia paghi un prezzo doppio. E’ urgente un ritorno al realismo.

(c) 2007 Carlo Pelanda
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