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Carlo A. Pelanda
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2006-2-27

27/2/2006

L’Europa ripiega sul protezionismo nazionale

L’unico vero vantaggio dell’euro è quello di indurre la creazione di un mercato unico europeo senza frontiere e con la stessa moneta. In economia si dice che solo l’allargare il mercato  implica un aumento della ricchezza per tutti. E tale teoria non è stata finora smentita dalla storia. Quindi la formazione di un vero mercato integrato in Europa, che significa far circolare liberamente merci, persone, informazioni e denaro da Lisbona a Varsavia, da Helsinki a Roma, è l’oggetto principale concreto di tutto il disegno europeo. Quello che permette di accettare ora i costi, gli impoverimenti e le distorsioni di un euro maldisegnato – perché troppo restrittivo e fatto prima della riforma di efficienza delle singole nazioni - proprio per la sua promessa di renderci tutti più ricchi nel futuro. Ma il rifiuto, sabato scorso, da parte del governo francese di permettere all’Enel l’acquisizione dell’azienda energetica Suez-Electrabel è stato un segnale che rende del tutto improbabile l’apertura delle frontiere economiche europee. Vediamo perché.

Ricapitoliamo brevemente i fatti. Il  governo francese ha stoppato l’italiana Enel ed ha deciso di fondere La Suez con Gaz de France per evitare scalate da parte di stranieri. Lo Stato francese manterrà circa il 30%, cioè il controllo, del nuovo campione nazionale che fattura circa 65 miliardi di euro all’anno. In questa operazione ha violato, nella forma, le regole che danno ordine alle acquisizioni  transfrontaliere intraeuropee. E, nella sostanza, ha ribadito il primato del protezionismo nazionale contro l’integrazione economica continentale. Ed ha fatto bene il governo italiano – nelle persone di Tremonti e Scajola, ministro dell’industria – a denunciare tale comportamento di Parigi, con linguaggi ai limiti dell’incidente diplomatico. Appunto, il significato geopolitico di tale gesto va oltre il caso specifico e tocca la sostanza più profonda del disegno europeo. La Francia , con il suo comportamento protezionista ed il mancato rispetto delle regole europee permetterà a qualsiasi altra nazione di fare lo stesso. In altre parole, la faticosa costruzione del consenso degli Stati per uscire dalla gestione diretta di aziende, per smettere di usarle come fattore di potenza e per l’apertura delle frontiere ha ricevuto un segnale di stop. Con la complicazione che non si pensa probabile una presa di posizione da parte della Commissione europea per sanzionare il protezionismo francese. Mentre quando in Italia vi fu, pur strumentale, la difesa dell’italianità delle banche  il nostro Paese fu accusato da tutti, con letteracce da Bruxelles e Francoforte. Con esempi del genere come faremo, da noi, a convincere i protezionisti che è una stupidaggine retrograda, quando si parla di economia, difendere un comparto su base nazionale dallo “straniero”? Stupidaggine perché se uno ci mette i soldi evidentemente non ha voglia di perderli. Infatti i governi dovrebbero intervenire solo per evitare che un’acquisizione straniera non abbia lo scopo segreto di chiudere un concorrente, impoverendo il territorio nazionale. Ma se non è dannosa nel senso detto, un territorio se ne avvantaggia, qualsiasi sia la nazionalità dell’acquisitore. Tale logica positiva, purtroppo, non riesce ad affermarsi su quella del protezionismo e dell’uso delle industrie e delle banche per scopi di potenza nazionale invece che di sano mercato. Infatti la Francia vorrà che il suo nuovo gigante energetico acquisisca altre unità in altri Paesi, cioè fare impero non più con le armi, ma con l’influenza economica. Qui l’aspetto deprimente perchè l’Europa funzionerà solo se abolirà la tradizione dei nazionalismi protezionisti ed imperiali.

(c) 2006 Carlo Pelanda
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