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Carlo A. Pelanda
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2016-9-2

2/9/2016

Non si devono sottovalutare i rischi da prevenzione

Nella letteratura di ricerca sulla gestione delle emergenze di massa, archiviata globalmente fin dagli anni ‘40 presso il Disaster Research Center dell’University of Delaware, si trovano motivi di cautela per evitare che una politica di prevenzione contro disastri generi danni peggiori del disastro stesso. Così come, per inciso, si trovano modelli di aiuto dopo una catastrofe che non distruggano l’economia locale dell’area colpita, studi che mostrano gli errori nei messaggi di allarme che creano una catastrofe comunicativa senza motivo reale, ecc. In sintesi, da un lato la materia è molto più complessa di quanto comunemente si creda, dall’altro ormai c’è sufficiente ricerca per ridurre gli errori. Il programma annunciato dal governo, Casa Italia, per ridurre la vulnerabilità dell’ambiente costruito ai sismi in circa metà del territorio italiano ha un profilo di enorme complessità. In particolare, se sarà confermato il piano di rendere gradualmente antisismiche abitazioni e infrastrutture che ora non lo sono, in 20 anni e al costo a carico dello stato di 4 miliardi all’anno, ci sono parecchi “rischi da prevenzione” da considerare. Per esempio, l’area X è classificata come oggetto di intervento, ma questo avverrà, per dire, tra 10 anni. Nel frattempo il valore delle abitazioni andrà a zero così come gli investimenti industriali e in turismo verranno depressi dall’evidenza formalizzata del rischio. Come evitare un tale disastro economico? Fare tutto e subito implica l’attivazione di migliaia di imprese con tecnologia adeguata e di un fondo di almeno 80 miliardi, cosa molto difficile. Se si gradualizzano gli interventi, questi devono cercare di seguire una mappa del rischio sismico dettagliata al punto da definire le aree di priorità. E’ in grado la geofisica di produrre tale conoscenza che poi permetta al piano politico-tecnico gradualizzato di rafforzare il sistema prima di un evento? Potrà dare probabilità, ma non certezze. Inoltre nelle aree classificate a rischio meno immanente, comunque lo Stato dovrà rafforzare i sistemi di allarme, ma questi con un problema: la scienza specifica può dare solo probabilità, il politico deve decidere in condizioni di ambiguità e ciò lo pone in un incubo giuridico e operativo. E comunque la gradualizzazione dell’intervento non riduce il problema della depressione economica dei territori a rischio e non rafforzati. Non spaventiamoci: soluzioni ci sono. Ma queste vanno studiate attraverso una grande mobilitazione di pensiero tecnico innovativo e non considerate semplici, lineari e già disponibili.

(c) 2016 Carlo Pelanda
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