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Carlo A. Pelanda
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2003-12-29

29/12/2003

Scenario 2004

Il 2003 si chiude con l’economia globale, complessivamente, in buona ripresa, ma con differenti livelli di crescita nelle diverse aree. L’America e l’Asia, compreso il Giappone stagnante dal 1992 fino all’estate scorsa, stanno andando molto bene. L’eurozona gode del buon ciclo esterno, ma questo la spinge poco al di sopra della stagnazione. L’Italia è andata un po’meglio di Francia e Germania non tanto sul piano della crescita del Pil (attorno allo 0,5%), ma su quello dell’occupazione. Da noi, infatti, il tasso di disoccupazione sta scendendo verso l’8% mentre in Germania sta risalendo verso il 9. Ciò potrebbe voler dire che le pur solo iniziali flessibilità inserite dal governo nel sistema danno un po’ più di forza all’economia reale. Vedremo nel 2004 se tale ipotesi sarà confermata. Ma il dato di fondo principale è che l’economia globale è tirata da due grandi motori, America e Cina, e tutto il resto dipende dal loro effetto traino, prevalente quello della prima anche in relazione alla seconda. Il cercare di prevedere come andrà il 2004 sul piano economico, in sostanza, vuol dire chiedersi se gli Usa riusciranno a restare in crescita. Se lo faranno, allora anche altri sistemi meno efficienti e modernizzati, come i nostri, caratterizzati da poca capacità di crescita interna potranno bilanciarla con le esportazioni verso le aree più dinamiche del pianeta. Nel caso contrario saranno guai, del tipo che abbiamo già visto nel 2001 e 2002, cioè stagnazione nel migliore dei casi, spirali recessive nel peggiore. Tali termini di riferimento per fare uno scenario sono tipici da almeno un decennio. Ma per il 2004 dovremo aggiungere una variabile in più: il dollaro molto basso, come già avvenuto nel 2003, deprime la competitività delle esportazioni europee annullando in buona parte l’effetto traino della crescita americana. In sintesi, per noi europei ed italiani lo scenario migliore sarebbe quello di una conferma di una robusta crescita negli Usa combinata ad un rimbalzo del dollaro. Vediamone la probabilità.

Dopo la triplice crisi del 2001 – terrorismo, dopo bolla e caduta della fiducia – il sistema americano ha fatto tutto quello che era possibile per ristimolare l’economia.Tutto e forse qualcosa di più: spesa pubblica senza badare troppo al deficit di breve periodo, detassazione rilevante; costo minimo del denaro e, ahinoi, svalutazione competitiva del dollaro per aumentare l’export. Dopo due false ripartenze, finalmente nella scorsa estate il sistema è tornato in crescita, stellare quella del terzo trimestre (quasi 8% del Pil). Ma c’è un problema che potrebbe rivelarsi un freno nel 2004. Tale crescita è stata alimentata dai consumi, ma non ancora da una sufficiente ripresa degli investimenti. In sintesi, la detassazione ed il basso costo dei mutui e dei crediti hanno dato al consumatore americano un po’ più di dollari per spendere e ciò ha salvato la nave, loro e nostra. Ma di soggetti che investano in nuove attività industriali o in espansione di quelle esistenti se ne vedono ancora pochi. E se questi continueranno a restare nella tana, perché ancora non convinti che il mercato sia favorevole, nel 2004 la leva di finanziamento del consumo non basterà per tenere il sistema in crescita forte. Quindi c’è un rischio sotto i numeri ora buoni.

E tale rischio ci interessa anche per i valori del dollaro. Se gli investimenti non riprenderanno la moneta dovrà grave; restare bassa per compensare quel buco di crescita attraverso una maggiore competitività dell’export. Cosa che l’America può permettersi perché fa poca inflazione anche grazie all’aumento costante della produttività (valore prodotto in un’ora di lavoro). Se, invece, gli investimenti riprenderanno nasceranno nuove imprese e queste andranno in Borsa e quelle vecchie satureranno i propri potenziali produttivi, cosa ancora non successa, e assumeranno di più. Ciò porterà a tensioni inflazionistiche che costringeranno ad alzare i tassi monetari ora quasi a zero. Quindi i titoli in dollari diventeranno più attrattivi, ma anche le azioni perché sconteranno una futura fase di crescita ed innovazioni. I capitali globali, ora fermi, torneranno in dollari e questi si rivaluteranno dando ossigeno alle esportazioni europee e del resto del mondo. La probabilità che ciò avvenga supera quella del caso contrario, ma non di molto. L’amministrazione Bush ha probabilmente interesse a tenere il dollaro basso fino alle elezioni di novembre in quanto questo favorisce il settore manifatturiero, quello più colpito dalla concorrenza esportativa e molto importante sul piano elettorale. Inoltre, l’America ha il problema di contenere comunque il deficit commerciale, cioè l’eccesso di importazioni, e ciò porta alla compressione del valore della valuta. Mettendo insieme tutte queste cose con i dati reali correnti pare più probabile una crescita che resti robusta, ma non robustissima, con un dollaro che si rivaluterà, ma non di tanto almeno per i primi mesi dell’anno.

In conclusione, non considerando qui peggioramenti sul piano della fiducia dovuti ad attentati o altre instabilità geopolitiche, nel 2004 godremo di un traino sufficiente a farci crescere, europei ed italiani, un po’ di più che nel 2003, ma non tanto quanto vorremmo e che ci servirebbe. Non è granché, ma visti i tempi dovremmo essere felici se questo scenario si realizzasse.

(c) 2003 Carlo Pelanda
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