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Carlo A. Pelanda
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2019-11-24

24/11/2019

La Nato rinasce grazie alla nuova missione verticale

Il 20 novembre a Bruxelles, con lo scopo di preparare il summit Nato a Londra del 3 e 4 dicembre, i ministri degli Esteri dell’Alleanza hanno approvato il progetto – lanciato dal Segretario generale Jens Stoltenberg nel giugno scorso -   di rendere lo spazio extraterrestre, in particolare l’orbita, il quinto dominio operativo della Nato stessa dopo terra, mare, aria e ciberspazio.  Stoltenberg ha dichiarato che era da molto tempo che non si vedeva una convergenza collaborativa, pur densa di posizioni diverse, tra nazioni Nato come quella registrata nella riunione detta. Solo retorica diplomatica dopo le dichiarazioni di obsolescenza dell’Alleanza da parte di Donald Trump e di inutilità da parte di Emmanuel Macron che persegue l’idea di una Difesa europea francocentrica post-Nato? No, una riconvergenza Nato c’è, pur da capire ancora quanto profonda. Ma è sufficiente per poter annotare che quella francese è una “posizioni diversa” entro un generale consenso - anche di Parigi costretta  dlla posizione atlantica di Germania e Italia -   a rivitalizzare la Nato. Nel 1990, dopo l’implosione del nemico sovietico e la fine della missione, i pro Nato dicevano con preoccupazione: “out of area or out of business” (o troviamo una nuova area di missione o è finita). Per 30 anni è stato difficile trovarla pur con il ritorno di rilevanza dovuto all’aggressività russa nel 2014. Ora, precorsa dall’accordo sulla cibersicurezza del 2018, c’è un’area di difesa “verticale” che pone la Nato “back in business” (nuovamente in affari).   

I futuri conflitti coinvolgeranno l’orbita. Da questa, infatti, con armi ad energia (combat laser) o nuova generazione di proietti si potrà distruggere tutto quello che si muove in superficie, salvi (forse) solo i sottomarini. Le piattaforme orbitali armate saranno a loro volta distruggibili da satelliti killer o da missili lanciati da terra o da aerei sub-orbitali ipersonici, ma tracciabili prima dell’impatto dalle piattaforme stesse. Infatti ritengo personalmente che il “non detto” nel nuovo scenario strategico è che per perseguire il controllo dell’orbita, e via questo della Terra, bisognerà costruire basi spaziali nel sistema solare profondo, per attaccare “da dietro” l’orbita stessa. Tali basi dovranno essere configurate come grandi esohabitat per avere la capacità di schermare gli umani, che possono resistere nello spazio poco tempo e con danni medici strutturali, dalle radiazioni e fornire loro un minimo di gravità artificiale allo scopo di permettere permanenze prolungate perché l’uso di sistemi robotizzati non è sufficiente per azioni esobelliche. Ciò spiega i nuovi investimenti, oltre che per i Comandi spaziali militari, per costruire stazioni-cantiere in orbita lunare, tornare sulla Luna e progettare viaggi verso Marte. L’intero sistema solare sarà campo di battaglia. Qualcuno potrebbe obiettare che ci sono trattati per la non-militarizzazione dello spazio. Vero. Cina e Russia ne stanno spingendo di nuovi, ma l’America li blocca. Cattiva? Per niente: sa che questi sono farse per dare il tempo alla Cina di ridurre il ritardo tecnologico nel settore (circa 15-20 anni tecnologia) e alla Russia un modo per cercare di rallentare il riarmo americano a cui non può star dietro per gap economico. I cinesi stanno militarizzando lo spazio con missioni apparentemente civili, ma in realtà militari, nascondibili per la natura duale delle tecnologie spaziali. Infatti il nuovo nemico della Nato è la Cina, la Russia indecisa. E a questo nemico non si può concedere la fiducia che rispetti un trattato. Pertanto è realistica la strategia statunitense di raggiungere la superiorità totale per dissuadere il nemico o annichilirlo se necessario. Ora il punto di rilievo per la Nato è se l’America pensa di poter ottenere da sola tale superiorità o se ha bisogno di alleati. Si consideri anche il problema di conflitti a minima intensità che pongano un problema di sicurezza ai circa 2.000 satelliti in orbita da cui dipende sempre più il ciclo delle attività terrestri.

La spesa statunitense è molto superiore al complesso di quella europea e probabilmente è sufficiente a costruire una esosuperiorità unilaterale. Ma la Cina ha un potenziale prospettico di spesa superiore. Inoltre, la tecnologia spaziale europea è inferiore a quella statunitense, ma non di tanto. Se fosse trasferita alla Cina, questa accelererebbe il raggiungimento della parità strategica con l’America. Pertanto, nel riarmo spaziale l’America avrà un certo bisogno della convergenza europea (e nipponica). E l’Ue avrà bisogno dell’America per l’esosicurezza perché se sola ne resterebbe priva. La creazione della missione Nato nel quinto dominio appare un segno di consapevolezza che l’esoconvergenza euroamericana sia necessaria per ambedue. Ora si apre il tema di come l’industria spaziale italiana, notevole per scala e per traino tecnologico, possa trovare vantaggio dalla corsa all’esosuperiorità strategica. Ne parlerò, ma per prepararsi invito i lettori a leggere il libro “Geopolitica dell’esplorazione spaziale” di Marcello Spagnulo. Bisogna capire a fondo il tema per dare il consenso a giuste scelte nazionali di nuova (eso)geopolitica economica.

(c) 2019 Carlo Pelanda
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