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Carlo A. Pelanda
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2019-11-3

3/11/2019

La difficile difesa dell’Italia dalla conquista francese

Parigi sta prendendo il controllo dell’Italia perché Roma non la sta difendendo. In parte per assenza di capacità. In parte per collaborazionismo da parte di soggetti reclutati dall’ufficio di influenza francese, tanti nell’attuale governo e suoi dintorni. Il lato collaborazionista del problema potrà essere risolto o minimizzato da un nuovo governo di centrodestra con forte progetto nazionale, euroatlantico e di una Ue più bilanciata al suo interno, se riuscirà ad accelerare e vincere le elezioni. Ma il lato della capacità appare di più difficile soluzione. L’Italia non ha uno Stato verticale, cioè un presidente della Repubblica eletto direttamente. Conseguentemente non ha un ufficio strategico con la forza politica per coordinare le risorse sia pubbliche sia private a tutela dell’interesse nazionale. Parigi, invece, lo ha e vuole il dominio dell’economia e della politica italiane sia per bilanciare il potere della Germania sia per ridurne l’atlantismo a favore di una sovranità europea francocentrica e post Nato come terza forza globale. Potremo difenderci?

 Quando Antonio Martino nel 2001 mi ingaggiò in qualità di suggeritore di strategie per contrastare una penetrazione francese con metodi di guerra economica nell’industria militare italiana e dintorni, fu possibile resistere perché l’America ed il Regno Unito, in particolare nel 2003, avevano bisogno dell’Italia per la missione in Irak, a cui si opponevano Francia e Germania, e diedero una mano che insieme ad un buon coordinamento dell’azione italiana permise di mostrare forza ai francesi. Si arrivò a compromessi ragionevoli per evitare conflitti improduttivi. Inoltre, alla Francia mancava potenza sufficiente per sfondare. Ora la protezione statunitense dell’Italia è meno incisiva e la Francia ha capacità strategiche potenziate dal fatto che l’elezione di Emmanuel Macron è stata spinta da una banca d’investimento e che conseguentemente questi è in grado di muovere in modo coordinato risorse sia pubbliche sia private, concentrandole per fini strategici. Per esempio, l’operazione recente nel settore auto mostra una rimarchevole lucidità strategica e finanziaria: integrare Renault con i giapponesi e i cinesi per costruire sia un campione mondiale sia il leader nell’elettrico e allo stesso tempo far acquisire a Peugeot Fiat-Chrysler per darle accesso al mercato statunitense e rinforzarla in Europa. Se riuscirà, alla fine la Francia sarà il centro mondiale del settore e i lavoratori in questo aumenteranno, tutelando la ricchezza residente transalpina. Chapeau. Una geopolitica industriale del genere l’Italia se la sogna, così come è un’illusione la rassicurazione che il ramo Fiat possa tenere in Italia produzioni rilevanti. Cattivi i francesi? Non possiamo accusare quel governo di fare il proprio interesse nazionale. La colpa è dell’Italia che invece di contrastare la deindustrializzazione la favorisce da decenni con malgoverno diffuso e incompetenza strategica. Conviene arrendersi, allora?

No. Ci sono due inaccettabili rischi esistenziali per l’Italia: la perdita di ricchezza residente succhiata da entità francesi, come tanti esempi mostrano, e la ricollocazione geopolitica dell’Italia in divergenza con gli Stati Uniti. Abbiamo qualche chance di resistere? Ci sono se l’Italia mantiene l’asse anglo-americano per l’industria militare e tecnologica. Al momento Parigi segue una strategia di esclusione dell’Italia dai programmi europei militari e spaziali per indebolirla allo scopo di poi costringere il governo ad accettare fusioni con aziende francesi. Bisogna vigilare sul ministro dell’Economia, considerando che l’ipotesi di un cambio di maggioranza sta accelerando questo piano. Borsa italiana, il principale oggetto di conquista francese insieme a Generali e Unicredit, deve restare tale. Nel caso è necessaria una mobilitazione del capitale privato. Poi bisognerebbe ridurre la pressione francese contando sul fatto che prima o poi la Germania certamente contrasterà l’ambizione di Parigi – ci sono già segnali - e l’Italia sarà più rilevante nel gioco, per altro motivo della fretta francese di condizionarla. Un modo realistico è concedere alla Francia qualcosa senza perderci troppo. Una convergenza di presidio militare del Mediterraneo e dintorni potrebbe essere esplorata perché l’ebollizione dell’area genera nuovi problemi e interessi comuni che superano le frizioni passate ed attuali. In conclusione, raccomando un mix di contrasto e cooperazione perché siamo troppo deboli per tentare solo il primo nonché una vigilanza rafforzata del centrodestra e dei media indipendenti sui molti che in questo governo lavorano per l’ennesimo eccesso di ambizione aggressiva della Francia. In codice: poiché Macron persegue un progetto geo-finanziario di salvataggio del disastrato sistema bancario francese – vero motivo della sua elezione “iperfinanziata” - attraverso predazioni esterne, è mai possibile che la finanza italiana, preda, non reagisca?

(c) 2019 Carlo Pelanda
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