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Carlo A. Pelanda
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2002-12-30

30/12/2002

Ripresa nel 2003 ma con molti forse

Circa un anno fa avevo scritto su queste pagine che il 2002 sarebbe stato di convalescenza e che bisognava aspettare il 2003 per una piena ripresa dell’economia globale, con relativo traino per quella europea ed italiana. L’anno in corso, infatti, ha visto un ciclo economico di lentissima stabilizzazione dopo la caduta finanziaria e contrazione dell’economia reale avvenuti a partire dalla metà del 2000. Per onestà, va detto che le “curve di probabilità” all’inizio del 2002 facevano prevedere una convalescenza migliore e una crescita in accelerazione alla fine dell’anno. E ciò dava alla ripresa globale, trainata dall’America, un appuntamento già nel gennaio del 2003. Ma a metà dell’anno scorso “le curve” hanno ripiegato verso il basso. In America – nonostante una crescita del Pil nel terzo trimestre superiore al 4% - gli investimenti non ripartivano, il ciclo borsistico si riprendeva, ma senza una forte fiducia rialzista, la disoccupazione aumentava. Nell’eurozona fu quasi un tracollo, principalmente dovuto all’effetto sistemico (meno importazioni, meno turisti, ecc.) della stagnazione tedesca. Tutti gli analisti furono sorpresi da questo ripiegamento. E ad alcuni venne il sospetto che le misure espansive eccezionali, soprattutto in America, prese a seguito dell’11 settembre 2001 avevano dato l’illusione di un veloce rimbalzo. Invece avevano solo attutito per qualche mese la contrazione dovuta allo scoppio della bolla 1996-2000 ed alla crisi di fiducia relativa all’essere bersagli di un’offensiva terroristica. Più tecnicamente, siamo ancora in un ciclo discendente dove le imprese adattano i costi e gli investimenti a previsioni di vendite medio-basse. Partiamo da qui per tentare di prevedere i macroandamenti del 2003. Per inciso, la metodologia che applico, nel mio lavoro di ricerca che poi qui semplifico, si basa sull’”analisi degli impatti incrociati”. Si prendono in esame diverse variabili (circa 500, nel mio caso, in una matrice computerizzata) ciascuna incrociata all’altra in base alla stima dell’influenza che una ha sull’altra e poi si ricavano delle tendenze più probabili. Dopo anni di applicazioni e raffinamenti ho una certa fiducia in questo metodo, per lo meno nel limite di prendere le tendenze principali. In estrema sintesi, il modello mi da una bella ripresa in America verso marzo con un effetto traino sull’eurozona a partire da giugno-luglio, un po’ prima quello borsistico. 

Ma questo buon esito deriva da una simulazione in cui ho tolto: (a) l’incertezza dovuta a fattori bellici e relativo aumento del prezzo del petrolio; (b) l’eventualità di altri atti terroristici pesanti; (c) casi di insolvenza tipo quello dell’Argentina; (d) l’eventualità di un crollo del dollaro; (e) una crisi di fiducia dei consumatori americani. Se si avverassero gli eventi (a) e (b) lo scenario diventerebbe meno ottimistico, un 2003, al meglio, più o meno come il 2002. Se si aggiungessero anche gli altri punti esclusi sarebbe una brutta depressione mondiale. Non ho elementi per assegnare le probabilità e quindi resti tale risultato condizionale: se l’azione di polizia contro Saddam si risolve presto senza code destabilizzanti, se non scoppia qualcosa di grosso nel pianeta, se in America la fiducia tiene, allora andrà tutto bene: avremo una crescita in America verso il 3% ed il ritorno, pur lento, degli investimenti, quindi l’effetto locomotiva sul globo.

Ma anche nel caso migliore nell’eurozona vi saranno problemi. La ristabilizzazione degli Usa passa attraverso un periodo di dollaro relativamente debole (per esportare di più e ridurre l’enorme deficit commerciale). Ciò significa che l’euro resterà alto, almeno per la prima parte dell’anno, e ciò penalizzerà la competitività valutaria delle esportazioni. Tale scenario sarebbe buono se il miglior valore di cambio dell’euro attraesse investimenti dal resto del mondo e stimolasse quelli interni nell’eurozona. Ma le tasse elevate e la rigidità del mercato del lavoro, oltre a dubbi sulla tenuta del Patto di stabilità, non inducono grande ottimismo in materia. Quindi il rialzo dell’euro, se non accompagnato da politiche di riforma competitiva (meno tasse, più flessibilità e meno assistenzialismo), va visto come una trappola. Perché il mercato interno europeo è strutturato in modo tale da fare poca crescita propria. Se non riesce ad esportare, allora la crescita sarà zero o poco più. Infatti, nel caso migliore, l’eurozona riuscirà a crescere attorno alla metà di quanto farà l’America. Una magra consolazione è che nel caso peggiore la recessione sarà più frenata per la presenza di ammortizzatori sociali che gli Usa non hanno.

L’Italia finisce l’anno con una crescita del Pil attorno allo 0,4%, piuttosto male. E sarà difficile, se non cambia qualcosa, che spunti un 1,5% per il 2003 nel caso migliore. Come qui già detto qualche settimana fa il nostro Paese ha una crisi strutturale sul piano della grande industria  di entità tale da non venir compensata dalla buona tenuta di quella piccola. Inoltre dipende molto dagli andamenti della Germania, previsti non buoni anche per l’azione di un governo di sinistra da cui non ci si attende un grande e veloce piano di riforma liberalizzante. Quindi nel 2003 il governo Berlusconi  sarà chiamato a realizzare veramente tutte le sue promesse di riforma  competitiva, con l’obiettivo di dare una spinta formidabile all’ottimismo economico nella nostra nazione. Senza il quale non ci toglieremo dalla palude. Augurio, ma anche richiamo per un’azione urgente. 

(c) 2002 Carlo Pelanda
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