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Carlo A. Pelanda
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2018-10-16

16/10/2018

Il valore strategico della statalizzazione di Alitalia

Può essere un liberista a favore della statalizzazione, pur indiretta, di Alitalia? In tempi ideali, cioè di concorrenza internazionale basata su criteri di libero mercato, certamente no. Ma questi non sono tempi ideali. E’ in atto una rinazionalizzazione parziale del mercato globale dove in certi settori strategici o un’azienda internazionalizzata può contare sul sostegno finanziario e commerciale dello Stato o non riesce a competere. Così come uno Stato senza strumenti strategici soccombe. In particolare, nell’ambiente europeo la competizione geoeconomica tra Stati nazionali è violentissima per il dominio regionale in alcuni settori chiave: industria della difesa, grandi sistemi civili, energia, ecc. Questo scenario è ben noto agli analisti, ma quelli italiani tendono a sottovalutare l’importanza dell’autonomia nazionale nei trasporti civili aerei, cosa che certamente non succede in Francia e Germania, e nemmeno in Spagna o Regno Unito o Olanda, dove le linee aeree – e le reti complessive di trasporto - sono considerate beni strategici e trattate come tali. Questo tema, poco trattato sulla stampa italiana sul piano del valore strategico, ora va visto in termini realistici di “geopolitica economica”.  

Il primo punto per la nuova analisi riguarda la relazione tra interesse nazionale e flussi turistici. Il turismo è una componente rilevante del Pil italiano che, soprattutto, può aumentare di molto. E tale aumento dipende dalla quantità di strumenti messi in campo per prendere gente da tutto il mondo, portarla in Italia e poi riportarla a casa felice. Ovviamente parte della competitività turistica dipende dai fattori di attrazione. L’Italia è messa bene sul piano dell’attrazione monumentale, museale ed ambientale, ma la sfrutta molto meno del potenziale. E questo è un problema di riorganizzazione del settore, piuttosto pressante perché secondo alcuni calcoli la facilitazione - in questo caso assolutamente sì – del libero mercato concorrenziale e della capitalizzazione di nuove imprese di servizi turistici potrebbe aumentare di circa 400mila unità l’occupazione, 4/5 di questa cifra nel Sud. Ma è anche molto rilevante la capacità di orientare i flussi globali verso l’Italia. Per esempio, Lufthansa porta dalla Cina maree di turisti, ma usando il dominio della sua linea aerea per orientarne il più possibile i flussi verso la Germania stessa, con facilitazioni impressionanti da parte delle Ferrovie locali. Bravi. Ma se l’Italia vuole essere altrettanto brava deve andarsi a prendere i turisti in Cina direttamente come strumento per offrire loro pacchetti completi di servizi integrati e competitivi. Ovviamente Lufthansa è interessata a prendersi a sconto i residui della disastrata Alitalia o tenerla sotto pressione per sostituirla – nelle tratte Francoforte/Monaco e città italiane -  con l’ottima Air Dolomiti, che per altro ha recentemente assunto centinaia di italiani. Se non riuscirà a comprarla o deciderà che non ne vale la pena, allora il governo tedesco enfatizzerà il divieto europeo agli aiuti di Stato per dominare il flusso transcontinentale e il settore turistico italiano. Qualcuno potrebbe dire che sarebbe un bene tale germanizzazione del settore vista l’incredibile inefficienza degli attori italiani. Ma un calcolo rapido mostrerebbe facilmente una pesante perdita di opportunità, cioè di valore aggiunto, in tale eventualità. Sarebbe meglio un libero mercato concorrenziale europeo? Ovviamente sì, ma per crearlo Germania e Francia dovrebbero togliere i loro interventi statali diretti e indiretti nel settore, cosa che non hanno assolutamente intenzione di fare, al momento.  Mi sembra chiaro il punto da approfondire. Se qualcuno ha dubbi sulla sua rilevanza, sappia che si sta parlando di circa l’1,2% di Pil potenziale.

Il secondo punto riguarda la “leva strategica”. Se lo Stato può influenzare una compagnia aerea di bandiera, allora potrà decidere se comprare Airbus o Boeing o altro in base ai vantaggi che queste importanti aziende, ed i loro governi di riferimento, sapranno fornire ad altre aziende italiane. In questi casi il calcolo costi/benefici non è analitico, ma sistemico. Da un lato, non compro al miglior prezzo lo specifico asset, ma ottengo un enorme vantaggio, altrimenti irraggiungibile, in altro settore dell’industria nazionale o geopolitico per la nazione. Parte della competizione geoeconomica mondiale si svolge esattamente così e l’Italia ha bisogno di più asset con cui fare scambi di questo tipo, gli aerei e dintorni molto rilevanti.

Non voglio qui pronunciarmi, ancora, sull’opportunità o meno di integrare Ferrovie con Alitalia. Ma suggerisco di trattare il tema con i criteri qui abbozzati pur con il rammarico di un liberale che vede il mondo andare da un’altra parte.

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