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Carlo A. Pelanda
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2018-9-18

18/9/2018

Finalmente un’Italia euroattiva e non lamentosa o rivendicativa

Il ministro degli Affari europei, Paolo Savona, ha invitato i governi dell’Ue, la settimana scorsa, a formare un gruppo di lavoro per cercare un diverso modello di Europa che la renda più forte e più equa, motivato dall’analisi di quello che non funziona e che dovrebbe essere riparato con l’importante annotazione che non è necessario modificare sostanzialmente i trattati dell’Unione, ma solo applicarli meglio, con qualche innovazione. Nell’introduzione si legge: “Il Governo italiano intende trovare una forma di collaborazione con i 27 Stati membri per studiare e risolvere le debolezze istituzionali e politiche che si riflettono in un saggio di crescita reale permanentemente inferiore al resto del mondo sviluppato…”. Trovo questa iniziativa giusta e strategica perché colloca l’Italia nel ruolo di azionista rilevante dell’azienda Europa che convoca l’assemblea dei soci per riportare l’azienda stessa al profitto e a distribuire utili a tutti i soci stessi invece che nella posizione rivendicativa di dipendente che si lamenta di maltrattamenti, o di mendicante. Ma forse proprio per questo la proposta di Savona non sta trovando un sostegno sufficientemente forte nel governo a cui nome, per altro, è stata inoltrata agli altri europei: per i due partiti in maggioranza è più comodo e semplice per motivi elettorali rappresentare un’Europa soffocante contro cui attuare una mobilitazione sindacale piuttosto che dichiararsi comproprietari e prendere l’iniziativa di correggerne i difetti. Uno potrebbe dire che tale posizione rivendicativa è stata causata dal continuo rifiuto degli altri europei di considerare seriamente il disagio italiano. Vero. Ma è anche vero che i governi italiani hanno per lo più, sul piano economico, chiesto deroghe specifiche alle regole per l’Italia e non cercato di modificarle componendo l’interesse nazionale con quello degli altri entro un lavoro comune di revisione e riparazione, facilitando così il rifiuto da parte delle nazioni ostili. Oppure non hanno chiesto alcunché volendosi mostrare euroconformisti per strappare qualche pidocchiosa flessibilità. In tal senso il tentativo strategico di Savona di ottenere vantaggi per l’Italia che lo siano anche per gli altri mi sembra una novità intelligente che il governo nel suo complesso dovrebbe sostenere. Mi permetto anche di chiedere a Sergio Mattarella di considerare il sostegno all’iniziativa di Savona perché concilia interesse nazionale con quello di tutti gli europei.

Qui non voglio entrare nel merito dell’analisi di Savona, ma ritengo utile analizzare alcuni elementi di realismo geopolitico per valutare le condizioni preliminari di fattibilità della proposta. Che l’Italia trovi status di azionista rilevante dell’Ue, ottenendo il gruppo di lavoro intergovernativo detto sopra, certamente non piacerà a Parigi. Un po’ perché Emmanuel Macron sta perseguendo, per altro con minor forza per l’indisponibilità della Germania, il progetto di “sovranità europea” con metodo opposto a quello di consultazione di Savona, cioè cercando il consenso di Berlino per poi imporre agli altri il disegno via forza diarchica. Per inciso, Macron sta seguendo la “Grande strategia” di Charles De Gaulle, aggiornandola: inventarsi un’Europa come soggetto politico e dominarla, prendendo come socio secondario la Germania - ora diventato prevalente - per avere una scala sufficiente per essere attore nelle relazioni globali visto che la Francia, dopo la perdita delle colonie, non l’aveva più nazionalmente. Nel 1963 Parigi espulse, di fatto, l’Italia dal direttorio europeo per facilitare la realizzazione di questo disegno di Europa strumentale. Ora Macron difficilmente vorrà riammetterla, alla pari. Ma non sarebbe un ostacolo se la Germania accettasse di aprire un tavolo per la revisione dell’architettura europea. Quali le condizioni? Non usare denari tedeschi per coprire i debiti altrui. Potrebbero l’Italia e altre nazioni con alto debito accettare? Lo potrebbero se la Bce inserisse nelle sue missioni quella di prestatore di ultima istanza. Se così, infatti, non ci sarebbe più motivo di diversi rendimenti e rischi dei titoli di debito eurodenominati e lo spread sparirebbe, con enorme sollievo di tutti. Berlino rifiuterebbe? Non lo ha fatto, pur la Bundesbank opposta, quando la Bce si è data tale missione, temporaneamente, in situazione di emergenza. E ha interesse che l’euro si stabilizzi perché la sua crisi causerebbe quella del suo dominio regionale, quindi è certamente disposta a cedere qualcosa. Quel qualcosa, però, non deve aizzare un’insorgenza anti-euro in Germania, crescente, e quindi gli europei più indebitati dovranno concordare un percorso credibile di riequilibrio. Ma per renderlo credibile e non recessivo avranno bisogno di una deroga temporanea dalle regole europee per attuare una politica fiscale che aiuti la crescita per riequilibrare il rapporto debito/Pil. Ciò sarebbe una salvezza anche per la Francia che sta affondando. E l’idea dei “contratti nazionali”, pur diversa da quella qui detta, è già apparsa. Con questi cenni voglio segnalare che un aggiustamento negoziale del modello europeo che renda più comoda la partecipazione alle euronazioni non è fantapolitica, ma un obiettivo raggiungibile negozialmente, con pazienza e tanto studio in comune. Considerando che tutte le nazioni europee, Germania compresa, e non solo la Francia, hanno bisogno di una Ue che funzioni bene per moltiplicare la loro media o piccola capacità nazionale, ritengo che la proposta Savona, anche perché strategia che include tutti gli azionisti europei e non solo i due o quattro principali, possa creare un consenso europeo combinato con l’interesse nazionale italiano. Per questo è un’iniziativa che la politica italiana dovrebbe sostenere con più convinzione. 

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