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Carlo A. Pelanda
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2018-5-29

29/5/2018

Servono due iniezioni di realismo

Agli attori politici con volontà di cambiamento sia dell’inefficienza tecnica e inefficacia sociale del modello economico nazionale sia della debolezza dell’Italia nelle relazioni esterne servono due strumenti realistici per realizzarlo: riduzione secca di una parte del debito attraverso la vendita di parte del patrimonio pubblico disponibile ed elezione diretta del Presidente della Repubblica con poteri esecutivi, separata da quella dell’organo legislativo, modificando la Costituzione nella sezione che riguarda la forma di governo. La seconda azione (governabilità) rinforzerebbe la prima (recupero della sovranità economica sostanziale).

Se nel contratto tra Lega e M5S si fosse messo al primo punto l’operazione patrimonio contro debito e si fosse scritto che le risorse finanziarie per realizzarlo sarebbero state trovate in tal modo, rispettando l’equilibrio del bilancio statale anche riallocando la spesa pubblica improduttiva (tra i 35 e 40 miliardi), allora il mercato avrebbe premiato tale progetto invece di temerlo. Possibile? Il patrimonio pubblico disponibile è tra i 650 e i 700 miliardi in forma di immobili, partecipazioni e concessioni, statali e locali. Il debito pubblico è di circa 2.300 miliardi. L’analisi economica, correttamente, recita che un debito pubblico va ridotto aumentando la crescita del Pil. Ma nel caso italiano il debito è così elevato da rendere il costo annuale degli interessi – attorno ai 65 miliardi nel 2017 – un impedimento per stimolare la crescita. Per tale motivo all’Italia è necessaria un’operazione di abbattimento secco di una parte del debito pubblico vendendo patrimonio. Quanto? Almeno 300 miliardi.  Si risparmierebbero circa 12 miliardi di costo annuo degli interessi. Poi se ne risparmierebbero probabilmente altri 4 o 5 ogni anno nelle aste di rifinanziamento del debito grazie al miglioramento del voto di affidabilità (rating) sulla sostenibilità del debito e per il maggiore potenziale di crescita. In sintesi, dall’operazione il bilancio statale ricaverebbe 16-17 miliardi anno, equivalenti a un punto di Pil, e, soprattutto, una maggiore fiducia che aumenterebbe gli investimenti privati in Italia, portando il potenziale di crescita verso il 2,5%, con punte al 3%, così migliorando sostanzialmente il rapporto debito/Pil. Se, poi, tale risultato fosse ottenuto rispettando l’equilibrio di bilancio, ricavando i denari per detassazione e lotta contro la povertà da riallocazioni della spesa, l’Italia verrebbe valutata come la più grande sorpresa positiva nel mercato mondiale invece di esserne considerata una mina. E così riprenderebbe più spazio di manovra, recuperando la sovranità sostanziale ora impedita dal debito e dalla percezione che l’Italia non sia capace di ridurlo. Come? Impacchettando i beni pubblici in un Fondo italiano di bilanciamento (Fib) che li valorizzi, cartolarizzi (per vendite differite) e/o li alieni per ottenere in un triennio un abbattimento di, appunto, almeno 300 miliardi. Io preferirei l’emissione di obbligazioni variabili con sottostante i valori del patrimonio ed una garanzia della Bce che darebbe la tripla A all’emissione stessa perché tale modalità permetterebbe di scontare subito l’abbattimento con benefici immediati, ma ci sono altre opzioni tecniche. Volendo, è fattibile. Per questo è sorprendente che i partiti del cambiamento non abbiano messo in priorità un metodo di risanamento della finanza pubblica che, tra l’altro, non è deflazionistico come lo sarebbe un taglio secco della spesa. Spero ciò entri nella testa di chi farà i programmi per le prossime elezioni.

Così come spero che gli attori politici affrontino realisticamente il problema della governabilità,  mettendo l’elezione diretta del potere esecutivo in priorità nei loro programmi. La Costituzione italiana determina una “governabilità orizzontale” che, unica al mondo, bilancia il potere esecutivo al suo interno, rendendone impossibile l’esercizio, e che, pur non fornendo poteri esecutivi al Presidente della Repubblica, non ne limita le facoltà, fornendo a tale figura poteri esecutivi di fatto illimitati senza legittimità democratica sostanziale. Un orrore del genere è giustificabile dalla paura – Guerra fredda e ricordo fresco del fascismo - nel 1947 di verticalizzare troppo il potere esecutivo. Ma siamo nel 2018 e sia per riparare la nazione sia per muoverla in un sistema internazionale turbolento è necessario un potere esecutivo verticale legittimato dal voto e bilanciato dal Parlamento e non condizionato da altro dentro o fuori. Se si confermasse la maggioranza qualificata presidenzialista che sembra esserci, in teoria, nel Parlamento, suggerirei di votare subito tale modifica costituzionale anche per evitare che una popolazione non rappresentata e infuriata la chieda in modi disordinati che l’Italia non può permettersi a causa del suo debito.

(c) 2018 Carlo Pelanda
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