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Carlo A. Pelanda
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2018-8-7

7/8/2018

La connessione per l’Italia tra questioni libica e iraniana

Mentre Roma sta riconvergendo con l’Egitto, Washington avvia la prima tranche di sanzioni contro l’Iran. L’Italia deve prendere una posizione al riguardo perché questa influirà sulla stabilizzazione della Libia che è suo interesse vitale per il contenimento dei flussi migratori e la sicurezza energetica. L’Egitto è partner chiave perché ha influenza sulla confinante Cirenaica. L’Arabia saudita da sempre cerca di controllare il petrolio libico per asservirlo alle sue strategie di prezzo. Il regime egiziano è stato insediato da un golpe militare aiutato dai sauditi contro il precedente governo influenzato dai Fratelli musulmani, corrente sostenuta dalla Turchia, ancora in posizione governativa in Tunisia e con certa influenza in Tripolitania. Egiziani e sauditi perseguono il controllo della Tripolitania manu militari, nel frattempo impedendo la riconciliazione. Il teatro, inoltre, è complicato dalla configurazione tribale della società libica, dove operano con continui cambi di fronte centinaia di clan e dall’intervento di molteplici interessi esteri, tra cui quello della Francia è il principale fattore di disordine. L’Italia, invece, persegue un compromesso stabilizzante e recentemente ha avuto il pieno sostegno politico di Washington per tale azione. Ma egiziani e sauditi devono essere convinti che l’eventuale compromesso, per altro possibile “in basso” definendo per ogni clan una posizione di reddito, non ne pregiudichi gli interessi. Ciò implica l’assunzione da parte dell’Italia, con la copertura di Washington, di un ruolo di garante. Ma per rassicurare i sauditi (e l’America) Roma dovrebbe collocarsi decisamente nello schieramento Usa-Arabia-Israele contro l’Iran. Questa è la connessione “cavouriana” tra questioni libica e iraniana. 

Tale mossa è difficile, più che per interessi economici, perché l’Ue ha preso una posizione netta di mantenimento del trattato, per altro vago, di non-proliferazione nucleare dell’Iran in cambio della rimozione di sanzioni economiche, in esplicita divergenza con l’America. Donald Trump ha stracciato il trattato e attivato sanzioni su pressione israeliana e saudita per limitare l’espansione iraniana (e per non dare ai Saud una scusa per dotarsi di armi nucleari). Parigi farebbe di tutto per condizionare l’Italia affinché rientri nei ranghi. La Germania, la cui geopolitica economica persegue da sempre il dominio dell’asse Balcani-Turchia-Iran, certamente la appoggerebbe, ambedue ricattando Roma dove è più debole, cioè sul debito. Va poi considerato che la Russia è potenza protettrice dell’Iran in cambio di un suo contributo stabilizzante nel Caucaso e dintorni, motivo di possibile frizione tra Roma e Mosca se la prima facesse la scelta qui raccomandata. E che la Cina potrebbe cogliere l’occasione per diventare protettore principale dell’Iran data la crescente divergenza tra Iran e Russia perché la seconda ha preso l’impegno, comunque, di tutelare Israele e converge sempre più con i sauditi sul piano delle politiche petrolifere, cosa che inserirebbe più profondamente l’Italia nel fronte anti-cinese di prima linea che Trump sta montando, con rischi per il business. Inoltre, molto personale tecnico che influenza le decisioni del governo italiano è sospettabile di essere influenzato dall’interesse francese. Pertanto i problemi sono due: a) come ridurre il rischio sistemico per servire l’interesse vitale italiano nel Mediterraneo; b) la capacità del governo di agire in divergenza con Parigi e Berlino.

Soluzioni. Un tale tipo di rischio non si può ridurre perché lo svantaggio nel farlo sarebbe superiore al vantaggio dell’inerzia. Pertanto Roma deve prenderlo, cioè entrare decisamente nello schieramento anti-iraniano aderendo alle sanzioni statunitensi. Il giro d’affari con l’Iran, poi, è piccolo e compensabile, per esempio, via accesso per le aziende colpite al (mega)programma infrastrutturale saudita. L’alleanza forte con l’America è un riduttore importante di rischio sistemico, ma nel bilaterale bisognerebbe confermare l’intervento della finanza statunitense nel caso di ricatti europei nonché la collaborazione dell’industria militare e spaziale italiana con quella statunitense. Se così, l’Italia potrà parlare da forte ai forti sia con tedeschi e francesi sia con la Russia, considerando che Mosca apprezzerebbe comunque il dialogo collaborativo con un’Italia meglio inserita nell’asse atlantico che non con una debole e indecisa. L’alleanza forte con l’America implica in ogni caso una frizione con la Cina.  Si può fare. Più complicato è montare nelle istituzioni un sistema con capacità strategiche e operative che realizzi tale scelta in divergenza con le prassi di subordinazione a Parigi e Berlino in vigore da decenni. La soluzione sarebbe creare un Consiglio per la sicurezza nazionale di diretta dipendenza da Palazzo Chigi e con ruolo di coordinamento degli altri ministeri.

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