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Carlo A. Pelanda
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2018-3-9

9/3/2018

Lo stallo politico chiama il Quirinale ad un ruolo attivo

Il Presidente della Repubblica di Germania, Frank Walter Steinmeier, convocò a fine 2017 la democristiana Merkel e il socialdemocratico Schultz dicendo loro, di fatto ordinando, di formare un grande coalizione nonostante l’annunciato rifiuto del secondo. Questo è un caso dove un presidente senza poteri esecutivi interviene per risolvere una situazione di stallo politico. Appare rilevante citarlo come possibile soluzione per l’impasse in Italia dove su tre schieramenti incompatibili almeno due devono essere costretti a convergere da una forza superiore. Non si sa se Steinmeier sia intervenuto di sua iniziativa per salvaguardare la stabilità politica della Germania e dell’Ue ed evitare nuove elezioni con rischio di crescita dell’estrema destra o se gli sia stato chiesto da Schultz per giustificare il voltafaccia in accordo riservato con Merkel. Probabilmente i due motivi si sono mixati. Resta il fatto che un presidente con poteri non esecutivi ha espanso il ruolo di garante di ultima istanza della stabilità di una nazione. Ciò deve essere un richiamo a Sergio Mattarella, tra l’altro un costituzionalista, per fare un’azione simile. Qualora il Quirinale decidesse di svolgere un ruolo attivo, a quali partiti dovrebbe offrire la scusa “noi non vorremmo accordarci, ma il presidente nel suo alto ruolo ce lo chiede”? Evidentemente il centrodestra e il centrosinistra, in sostanza il PD o parte di esso se spaccato, perché la combinazione tra movimento stellato, estrema sinistra e PD stesso metterebbe l’Italia più in difficoltà nelle relazioni con l’Ue e – molto rilevante anche se poco commentato – con Stati Uniti e Israele. Ovviamente è stato più facile per Steinmeier forzare un accordo tra centrosinistra e centrodestra per la consuetudine tedesca alle grandi coalizioni e a progetti nazionali. Ma il fatto che senza accordo forzato si debba tornare alle urne fa ipotizzare che i neoeletti creino una pressione per tale convergenza. E una legge elettorale non dirimente renderebbe nuove elezioni un rischio maggiore di un tentativo “enanziodromico” di convergenza degli opposti. Un accordo tra incompatibili ha tipicamente la forma di un contratto molto dettagliato, dove ciascuna parte deve rinunciare a qualcosa e allo stesso tempo ottenere soddisfazione per qualcosa altro, inventando azioni nuove sotto il titolo di “progetto nazionale” ad ampia convergenza, per esempio l’operazione patrimonio pubblico contro debito. Questa soluzione appare fattibile, ma a condizione che il Quirinale eserciti un ruolo attivo non solo riservato, ma anche, vista la situazione, esplicito.

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