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Carlo A. Pelanda
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2018-2-27

27/2/2018

Weidmann alla Bce potrebbe essere un vantaggio per l’Italia

Sta emergendo la candidatura di Jens Weidmann, attuale presidente della Bundesbank, alla presidenza della Bce nell’ottobre del 2019 quando scadrà il mandato di Mario Draghi, oppure prima se questi fosse chiamato da Sergio Mattarella a guidare un governo di emergenza nazionale in caso di ingovernabilità. Pertanto è ora di valutare se la scelta di Weidmann sarebbe uno svantaggio o un vantaggio per l’Italia.

La nomina di un tedesco al vertice dalla Bce sarebbe di enorme rilevanza (geo)politica. Finora la Germania ha accuratamente evitato di ingaggiarsi in posizioni di guida dell’Ue e dell’Eurozona per evitare controreazioni basate o sui suoi peccati storici o sulla posizione di egemone, preferendo condizionarla indirettamente attraverso il controllo di posizioni burocratiche rilevanti e/o esponenti di nazioni amiche. Se fosse confermato il sostegno di Berlino alla candidatura Weidmann, allora il segnale sarebbe che la Germania si sente pronta a guidare direttamente l’Europa. Secondo me, in realtà, Berlino non ha ancora deciso. Non solo perché il nuovo governo è ancora in formazione, ma anche per la complessità dell’analisi strategica costi/benefici per il profilo della Germania. Infatti non è un caso che Weidmann, che ci tiene a presiedere la Bce, insista sul fatto che le posizioni amministrative europee non devono basarsi sulla nazionalità degli individui, ma sulla competenza. Ovviamente non è così, la scelta recente di un ministro spagnolo alla vicepresidenza della Bce ne è la prova, così come l’alternarsi di figure francesi e italiane oppure olandesi e lussemburghesi – queste proxy della Germania – nei ruoli più rilevanti dell’Ue. Tuttavia, pur non ancora certo, è probabile che alla fine Berlino sosterrà Weidmann per non perdere l’opportunità del turno dopo un banchiere centrale francese ed italiano. E probabilmente gli strateghi tedeschi preferiscono che sia un tedesco con le caratteristiche rigoriste di Weidmann a gestire l’ultima e delicatissima fase dell’unione bancaria piuttosto che altri, accettando il rischio della prima linea. Se così, l’Italia dovrebbe essere favorevole o no?

A prima vista l’ipotesi di una conduzione rigorista della Bce, ipotizzabile in base alle posizioni finora tenute da Weidmann nel direttorio dell’istituto, appare un potenziale svantaggio per l’interesse italiano: meno garanzie al debito, vigilanza bancaria che non tiene conto delle situazioni speciali italiane, tendenza a mantenere elevato il cambio dell’euro contro dollaro per ridurre l’inflazione importata, con potenziale danno per l’export, pressione per la riduzione del debito in tempi e modi non compatibili con le possibilità dell’Italia, ecc. Ma se si analizza più in profondità lo scenario si trova anche una significativa probabilità di vantaggi. Per prima cosa, dalla posizione di guida della Bce Weidmann non potrà mettere a rischio la stabilità dell’euro creando problemi all’Italia per evitare l’imputazione alla Germania, e al “criterio tedesco”, di distruggere la costruzione europea. Poi, ha certamente memoria del disastro reputazionale che ha colpito Trichet quando in situazione di crescente rischio di deflazione nell’Eurozona ha alzato i tassi, restringendo la liquidità mentre avrebbe dovuto aumentarla per fronteggiare la crisi. Nelle università si studia questo “Trichet moment” come ripetizione dell’errore di politica monetaria fatto in America nel 1929-30 che fu la vera causa della depressione. L’ambizioso Weidmann non vorrà correre un rischio del genere. Più importante per l’Italia, se Weidmann non riuscisse a portare a termine l’unione bancaria, le nazioni e il mercato accuserebbero la Germania di ottuso sabotaggio dell’eurosistema. Finora la Germania si è opposta perché non vuole condividere il rischio finanziario con nazioni disordinate come l’Italia. Ma non potrà farlo a lungo e Weidmann dovrà trovare un compromesso. Questo, più che tecnico, sarà politico e Weidmann è un politico con tessera Cdu. Infatti, per inciso, alcuni lo vorrebbero alla Bce perché temono la sua concorrenza per la leadership del partito nel dopo-Merkel. La “politicità” di Weidmann, e quindi una certa ricattabilità utile ai compromessi, è molto marcata. Per esempio, ha impedito che la vigilanza europea si estendesse alle piccole banche locali, gestite dalla politica, il cui disordine è massimo. Inoltre, non ha voluto accertare la consistenza molto dubbia dei prodotti di finanza derivata (level 3) che vengono messi in posta attiva per decine di miliardi nei bilanci di grandi banche tedesche (e francesi). Queste considerazioni mi portano a suggerire che Weidmann alla Bce, e la Germania esposta e nuda in prima linea, potrebbe essere più un vantaggio che uno svantaggio per l’interesse italiano.

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