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Carlo A. Pelanda
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2018-1-2

2/1/2018

Iran tra giochi di potere ed eroismi popolari

Può essere che l’ampia ribellione in corso in Iran sia un fenomeno spontaneo dato il malessere diffuso e che abbia sorpreso sia gli analisti esterni sia la sicurezza interna del regime come sostengono il più dei media. Ma ci sono motivi per dubitare della spontaneità. Non solo perché, in generale, le mobilitazioni diffuse e durature sono tipicamente guidate da una regia. Ma anche perché l’Iran è una delle nazioni più sorvegliate al mondo dall’America, che lo fa prevalentemente con mezzi elint, e da suoi alleati che vi infiltrano risorse humint. Inoltre, il regime iraniano ha un sistema di controllo potente, pur diviso tra agenzie statali e milizie informali (Guardiani della rivoluzione). La sommossa dell’Onda verde del 2009 a Teheran ha lasciato un interrogativo: fu scatenata da un gruppo di élite del regime contro un altro per scopi di gioco di potere interno – come per esempio fu la rivolta di Piazza Tienanmen in Cina, nel 1989, dove un conflitto nei vertici del Partito comunista fu trasferito alla strada, strumentalizzando ingenui studenti -  o fu un fenomeno di auto-organizzazione oppure istruito dall’esterno, cioè dagli esuli antiregime sostenuti da nazioni interessate a cambi di potere in Iran? L’ipotesi della regia che sfrutta un disagio sociale reale è anche sostenuta dal fatto che la rivolta non è (ancora) scoppiata nella capitale, dove i sistemi di controllo sono raffinati e per lo più gestiti da forze che rispondono al governo, ma in città periferiche, quali Dorud, l’antica Izeh e l’industriale Arak, ecc., dove i controlli sono meno organizzati e, sembra, più affidati alle milizie informali. Il punto: senza escludere la spontaneità, bisogna anche capire se vi è una regia e se questa è interna, cioè di una parte delle élite al potere contro altre, o pilotata dall’esterno. E il capirlo è importante per tratteggiare uno scenario di possibili sviluppi della situazione iraniana che possono riverberare su tutta la regione e oltre.   

Ipotesi interna. Le dichiarazioni del presidente Hassan Rohani in televisione sono state ambigue: avete libertà di protestare, ma non di compiere violenze. Tra le righe, appare un sostegno agli insorti che hanno come obiettivo la fine dello strapotere degli ayatollah e dei loro affiliati che controllano l’economia e la polizia religiosa. Ciò svela un tentativo del presidente eletto Rohani di rimuovere il – o ridurre l’influenza del - vero capo dell’Iran, cioè l’ayatollah Alì Hoseyn Khamenei, comprimendo l’influenza delle milizie informali a favore di quelle governative? Anche per lo scopo di far cessare le ruberie dei Guardiani della rivoluzione che controllano l’economia nazionale? O per quello di dirottare le accuse di malgoverno, tra cui tassi d’inflazione e di disoccupazione devastanti, alla parte teocratica del regime per salvare quella “governativa” (eletta)? Se così fosse, dovremmo aspettarci un riaggiustamento dei poteri grazie alla pressione popolare, strumentalizzata, e la fine delle rivolte senza un cambiamento sostanziale del regime.   

Ipotesi esterna. Ricordiamo, per esempio, che la rivoluzione sovietica del 1917 fu inventata e gestita dai servizi segreti tedeschi, su un substrato di ribellione sociale montante, trasportando Lenin da Zurigo a Mosca, per costringere la Russia a uscire dal conflitto, liberando così risorse per l’offensiva degli imperi centrali sul fronte occidentale. L’America ha l’interesse di contrastare la vittoria dell’Iran, e della Russia, in Siria, di sbloccare il conflitto via proxy tra Iran e Arabia in Yemen che non ha facili soluzioni militari. Inoltre, destabilizzando l’Iran, spaccherebbe anche l’iniziale alleanza tra Russia, Turchia e Iran che darebbe un geovantaggio enorme a Mosca se si consolidasse. Non può attaccare né Russia né Turchia e quindi l’unico bersaglio utile e razionale è l’Iran. Inoltre, un Iran instabile giustificherebbe la posizione di Trump di congelare l’accordo siglato da Obama con Teheran. E Israele preferirebbe un cambio o ammorbidimento/indebolimento del regime iraniano piuttosto che ingaggiarsi in un’azione armata contro i filo-iraniani Hezbollah e Siria. E sia America sia Israele devono mostrare al quasi alleato Saud di poterlo aiutare contro l’emergere dell’Iran come potenza regionale. Infine, se i sauditi non si sentono rassicurati, potrebbero convergere con Mosca o richiedere armamenti nucleari per non farlo. Un cambio o ammorbidimento del regime in Iran semplificherebbe molto l’esercizio degli interessi sia statunitensi sia di Israele, e dei sauditi, complicando molto quelli dell’Ue, in particolare di Francia e Germania. La politica estera italiana dovrebbe approfondire il caso prima di prendere posizione. Nel frattempo, da noi liberali sia dato onore e sostegno ai combattenti iraniani per la libertà, un inchino alle donne che si tolgono il velo, splendenti veneri civilizzatrici

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