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Carlo A. Pelanda
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2018-1-9

9/1/2018

La priorità di un’operazione patrimonio contro debito

Il governo ha aumentato il debito di quasi 100 miliardi il debito nel 2017 e i partiti, al momento, non offrono soluzioni tagliadebito. Tale rimozione del problema del debito da parte della politica è inaccettabile e va “stanata” con una proposta concreta.

 Il costo degli interessi annuali del debito, attorno ai 2.300 miliardi (130% del Pil), va circa dai 40 ai 90 miliardi, a seconda dei tassi di periodo. La politica monetaria anti-deflazione lo ha reso minimo dal 2013. Ma l’inflazione sta aumentando più del previsto e quindi sta per finire il periodo di costi bassi del debito, anche per la fine nell’autunno 2018 del programma Bce che protegge quello italiano, aumentando il rischio di sua insostenibilità a fronte di una crescita troppo bassa per reggerlo anche se il Pil 2017 andasse oltre l’1,5%. La soluzione è fare più crescita? Certo, ma per riuscirci bisogna abbattere preventivamente un’aliquota del debito stesso perché i suoi costi per interessi non lasciano spazio di bilancio a detassazioni e/o investimenti stimolativi. I modi per farlo sono due: più tasse sui patrimoni privati, ma sarebbe catastrofico, oppure impacchettare un tot di patrimonio pubblico (immobili, concessioni e partecipazioni) per renderlo finanziarizzabile e cederlo.

Tra le opzioni preferisco il trasferimento del patrimonio disponibile, statale e locale, (circa 650 miliardi), in un Fondo italiano di bilanciamento (Fib) con la missione di valorizzare, finanziarizzare e vendere il patrimonio stesso. Secondo me almeno 300 miliardi di patrimonio sono trasformabili rapidamente in prodotti finanziari, per esempio obbligazioni variabili con sottostante il rendimento di un bene patrimoniale a 20 o 30 anni, che trovino compratori e quindi risorse per ridurre il debito complessivo.  Verrebbero risparmiati dai 12 ai 16 miliardi all’anno di spesa per interessi. Il voto di affidabilità dell’Italia (rating) migliorerebbe facendo affluire più capitali nel sistema, Borsa in particolare, e abbassando il costo di rifinanziamento del debito residuo, almeno 4 miliardi anno. In sintesi, l’operazione porterebbe a un risparmio strutturale di bilancio vicino ai 20 miliardi annui. Che potrebbero essere usati per contenere il deficit, ridurre le tasse, aumentare il monte per investimenti pubblici, alzare le pensioni insufficienti e finanziare investimenti modernizzanti, innescando un ciclo virtuoso. Un altro vantaggio sarebbe quello di rendere superato il folle trattato europeo “Fiscal compact” che impone l’obbligo di una riduzione parossistica del debito via tasse patrimoniali depressive o tagli di spesa deflazionistici. Inoltre, l’Italia si toglierebbe di dosso il marchio di mina globale che ne compromette la credibilità.

Se è così semplice, come mai i governi non ci hanno finora pensato? I partiti non vogliono rinunciare al potere di nomina negli enti pubblici e ciò toglie le partecipazioni statali e locali dalla lista. La cartolarizzazione, cioè la trasformazione di un bene illiquido in uno liquido, per emettere obbligazioni anche trentennali con sottostante il rendimento dei beni implica che esista una gestione valorizzante del patrimonio. Questa non c’è e dovrebbe essere creata attraverso il Fib, ma è ipotesi sgradita da politica e burocrazia che estraggono vantaggi da questa inefficienza.  Altri ostacoli sono la necessità di nuove norme per fluidificare l’operazione. Ma questi e altri problemi sono risolvibili dalla volontà politica. L’unico su cui sono incerto riguarda la necessità o meno di un “bollino blu” di garanzia da parte di un’entità europea, Bce in particolare, per rendere più appetibili le obbligazioni dette al mercato. Ma se un governo italiano arrivasse fino a questo punto dell’operazione, una soluzione vi sarebbe.

In conclusione, l’operazione di cartolarizzazione di parte del patrimonio pubblico contro debito è ostacolata solo dalla mancanza di volontà politica. Ciò è incomprensibile perché tutti i partiti troverebbero vantaggi nel proporla e attuarla, salvando l’Italia. Gentili lettori, chiedete ai partiti preferiti perché non propongono questa, o simile, operazione. Poi mandatemi cortesemente le risposte. Quelle che ho avuto io finora non sono state convincenti: il patrimonio è meno di quello che si pensi; è difficile riportare entro un fondo nazionale gli immobili devoluti agli enti locali, il rilascio di concessioni è un mercato particolare dove le lobby condizionano la politica e ciò comprime il giusto prezzo, il governo ha già tentato un’operazione tagliadebito, il progetto Capricorn, ma è abortita. Poi mi è stato detto: prova tu a sfrattare il potentissimo XY da quella casa di pregio di proprietà pubblica dove paga meno di 100 euro al mese mentre dovrebbe spenderne almeno 4.000. Ci proverei. Voi?

(c) 2018 Carlo Pelanda
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