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Carlo A. Pelanda
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2017-3-21

21/3/2017

Il vantaggio di una forte industria militare

E’ priorità nazionale aumentare la spesa militare e di sicurezza per rafforzare la capacità residente dell’industria tecnologica di settore. Questa segnalazione certo non piace a quelli che contrappongono i cannoni al burro. Ma i sistemi di difesa e attacco attuali, e di più quelli del futuro, richiedono sviluppi tecnologici di così alto livello da generare un ciclo industriale che, alla fine, oltre a servire le esigenze del committente genera un indotto esteso e qualificante sul piano del mercato civile. In sintesi, oggi i cannoni più tecnologici sono burro futuro. L’Italia, nei decenni scorsi, ha perso parecchie grandi industrie che potevano fare da traino tecnologico a tutto il sistema nazionale. Resta qualcosa, ma se il governo attuale e quelli futuri non rafforzassero l’industria militare e della sicurezza potremmo perdere la residenzialità industriale delle tecnocapacità attuali e di centinaia di altre nuove trasferibili al settore civile che possono essere finanziate inizialmente solo dalla spesa pubblica militare e di sicurezza. In Italia non è ancora sviluppato un mercato dei capitali che investa a rischio e a grande scala in innovazione, pur nascente, con capacità di sostituire la leva del denaro pubblico per produzioni particolari e di punta. E quando lo sarà, comunque un varietà di tecnologie rimarrà solo sviluppabile dal particolare tipo di spesa militare che non guarda al risparmio, ma al risultato di superiorità. Le nazioni che spendono molto in sviluppo di tecnologie militari hanno un vantaggio competitivo enorme, in particolare nel momento in cui prende più evidenza l’accelerazione della rivoluzione tecnologica, e il suo effetto selettivo nel mercato civile. Per questo sarebbe un suicidio ridurre la capacità nazionale nel settore militare evoluto.
E’ ovvia la convenienza di produrre sistemi militari costosi in condivisione con altre nazioni. Ma una cosa è partecipare ai consorzi internazionali in ambiente Nato ed europeo con capacità nazionali forti e un’altra è quella di farlo in condizioni di debolezza. Nel secondo caso resta poca “ciccia” sul territorio. Pertanto il concetto di consolidamento della difesa europea e dell’industria militare relativa sarebbe un vantaggio per l’Italia se aumentasse la domanda nazionale pro-quota dei mezzi militari e, conseguentemente, il peso dell’industria nazionale, inteso come diritto a prendersi la parte più “tecno-cicciosa” di un nuovo prodotto. Altrimenti no. Poi non va dimenticato che la Francia da decenni tenta di utilizzare le risorse europee per finanziare la propria industria tecnologica e militare per poi averne benefici di indotto civile oltre che geopolitico. Dai primi anni ’90 Parigi tenta di comprare aziende militari per rafforzare la sua capacità nazionale e nel 2000 andò molto vicina a comprarsi l’allora Finmeccanica, tra l’altro pagando con azioni e non con soldi. Il governo Berlusconi, nel 2001, e in particolare Antonio Martino, bloccarono tale tentativo e diedero al management di Finmeccanica il sostegno per trasformare tale azienda di punta del sistema militare italiano da preda in predatore. La guerra silenziosa con la Francia per comprarsi elicotteri ed elettronica inglesi per conquistare massa utile a ottenere un profilo globale fu epica e vittoriosa. Alla fine ci fu un compromesso ragionevole e collaborativo con i francesi, ma solo grazie alla forza dimostrata dall’Italia. Se ne avesse avuto di meno, i francesi ci avrebbero “lactalizzati”. Ora tale forza si è ridotta, la politica italiana molto disordinata è più facilmente penetrabile da interessi esteri, lo si vede in tanti settori, ed è per questo che lancio qui un avvertimento, aggiungendo che di forza ne resta abbastanza se si decidesse di organizzarla.
Quali armi per un più promettente indotto? Qui bisogna incrociare l’utilità geopolitica con quella strettamente tecnologica. Per l’Italia la partecipazione ad alleanze militari e missioni di polizia internazionale è un moltiplicatore della potenza nazionale che permette a un medio potere di ottenere in cambio vantaggi commerciali, per esempio una relazione privilegiata con l’America e contratti di vendita di armi a nazioni alleate o compatibili senza capacità proprie. Pertanto le armi utili a questo scopo devono essere prodotte in forma sia nazionale sia di consorzio, un po’ di più: aerei, navi, missili, ecc., in generale sistemi di presidio e di proiezione di potenza. Ma nel prossimo futuro ci vorranno armi da fantascienza: marcatura di sospetti terroristi dallo spazio, microsatelliti killer, robot aerei e terrestri e, soprattutto, strumenti di guerra e sicurezza cibernetica, questi ultimi di esclusiva produzione nazionale e non consortile. In conclusione, se l’Italia vuole restare con qualche capacità sovrana sui tavoli di alleanza che contano nel mondo, dovrebbe rafforzare la sua capacità tecnomilitare e non ridurla e/o svenderla a competitori europei e altri.

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