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Carlo A. Pelanda
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2001-9-17

17/9/2001

Incertezza, ma l’economia reggerà

Il mercato è alle prese con una difficile, anche perché senza precedenti, valutazione di quanto e come le conseguenze dell’attacco terroristico contro l’America influenzeranno l’economia. Lo scenario va diviso in due fasi temporali.

Breve periodo. La preoccupazione principale riguarda l’ipotesi che l’evento abbia scosso la fiducia e prodotto danni tecnici diretti ed indiretti ad un livello sufficiente per trasformare in recessione pesante la contrazione economica in atto negli Usa. Di conseguenza tutta l’economia globale, che dipende dalle esportazioni verso l’America andrebbe in crisi. Il commissario UE agli affari monetari, Pedro Solbes, ha già dichiarato che “l’eurozona crescerà sotto il 2% nel 2001” a causa del probabile peggioramento nel sistema americano. In effetti non si può sperare che l’attentato migliori le prospettive economiche statunitensi. Le misure di sicurezza – eccezionali – stanno mettendo in ginocchio molti settori, per esempio line aeree ed il turismo, con effetti catena che potrebbero costare uno 0,5 del Pil. L’attesa degli eventi bellici annunciati potrebbe deprimere i consumi – per la prospettiva, ad esempio, di aumenti del prezzo del petrolio e di altri vincoli all’economia – proprio a ridosso della stagione natalizia dove si decide circa 1/3 del Pil americano. E potrebbe perdersi un altro 1,5%. Ciò posporrebbe il rimbalzo alla seconda metà del 2002, la prima recessiva o stagnante, comunque incerta. Niente di catastrofico, ma sarebbe un momento nero, amplificato da previsioni di minori profitti per le aziende quotate e, quindi, da peggioramenti ulteriori in Borsa, con altri effetti a catena peggiorativa. Questo scenario è possibile? Non lo si può escludere e la sua probabilità non poca. Ma vanno aggiunte due considerazioni ottimistiche, basate sull’analisi realistica e non emotiva. I consumatori americani spenderanno quanto dovuto e, perfino di più, per motivi di patriottismo: è diffusa la volontà di non far vincere una seconda battaglia ai terroristi attraverso l’induzione di una depressione economica. Inoltre il Congresso ha appena deciso di liberare 40 miliardi di dollari di spesa immediata (più di 80mila miliardi di lire, circa) di cui 20 per esigenze militari e di sicurezza, ma gli altri da impiegare subito per compensare le linee aeree, pagare i danni e ricostruire l’area distrutta di Manhattan. Altre stimolazioni seguiranno a breve. Ciò fa prevedere una minore caduta dei consumi o perfino un rimbalzo. Anche perché il ciclo recessivo, prima dell’attentato, stava arrivando al “pavimento”. Se dovessi scommettere, lo farei contro il caso peggiore. Lo stesso per le Borse. Ci potranno essere dei giorni di grande turbolenza e forse un momento di quasi crollo, ma non essendoci delle condizioni catastrofiche ed essendo già scese ai minimi nel recente passato (ormai la maggioranza dei titoli è sottovalutata anche prevedendo minori profitti futuri per le imprese) è molto probabile che ad un certo punto, non lontano, prevalgano i rialzisti sui ribassisti. Non va sottovalutato, poi, l’accordo morale tra i grandi istituti finanziari sancito in questi giorni: nessuno giocherà per speculazioni al ribasso (vendite “short” di titoli). Rimarchevole. Tuttavia, per avere lumi bisognerà aspettare l’evento principale: se, e di quanto, l’autorità monetaria (Fed) ridurrà i tassi. Il mercato lo chiede a gran voce, ma per Greenspan è una decisione difficilissima: un taglio forte e fuori agenda potrebbe dare l’impressione, alla fine, che le cose siano peggiori; l’inazione deluderebbe il mercato; un taglio piccolo (0,25%) anche. Non facile, non ora scenarizzabile. Ma anche qui scommetto sulla decisione giusta e resto ottimista.

Medio-lungo periodo. Non sono ancora altrettanto ottimista, però, in merito al seguito.  Dobbiamo aspettare gli eventi principali, cioè il chiarimento di cosa esattamente si intende per “guerra al terrorismo e non solo ai terroristi”. Tale formulazione – adottata da Bush – implica che il conflitto sarà lungo e colpirà (giustamente) una serie di Stati complici direttamente ed indirettamente. In caso di azioni estese, evidentemente, ci sono due rischi: (a) un aumento del prezzo petrolio tale da mandare tutto in recessione per anni; (b) una reazione terroristica ancora più grave, tipo bomba nucleare o  batteriologica. O contro gli Usa oppure, più probabile, a danno di Paesi alleati che non riusciranno a chiudere le maglie della sicurezza tanto bene quanto  l’America. Questi sono rischi seri. Ed è inevitabile che il mercato li sconterà in forma di maggiore prudenza che, tecnicamente, implica un maggior costo per gli investimenti e più problemi per dare la giusta liquidità al sistema. Cosa si può dire? Che il mercato può sostenere tali rischi senza grossi problemi solo se le loro probabilità restano contenute. Da cosa? Dall’efficacia dell’azione militare. La notizia che le reti dei commandos sono sradicate, che gli Stati che li sostengono (da un minimo di quattro ad un massimo di undici) sono inibiti o i loro regimi abbattuti, basterebbe ad azzerare il primo rischio e a trasformare in evento raro il secondo. E tutto andrebbe a posto. Indecisioni nell’azione militare o dubbi sul suo effetto di bonifica totale toglierebbero fiducia al mercato. Nessuno può negare la complessità dell’azione richiesta per avere il successo utile a riassicurare il mercato. Ma è chiarissimo il criterio: l’economia nei prossimi anni sarà stabile solo se la vittoria sarà totale. Prego i moralisti o gli indecisi di capirlo perché certamente negli Usa lo si è capito perfettamente, ma in Europa ed in Italia non ancora del tutto.

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