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Carlo A. Pelanda
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2001-1-8

8/1/2001

Il rallentamento americano pone problemi maggiori all’Europa

Il rallentamento dell’economia americana - con forte rischio recessivo nel primo semestre del 2001 - pone un serio problema all’eurozona. Questa e’ cresciuta, in termini di Pil medio,  attorno al 3% (l’Italia solo del 2,5% circa)  nel corso del 2000 quasi esclusivamente grazie alle esportazioni verso l’area del dollaro. Favorite, appunto, da una svalutazione competitiva dell’euro e da una esuberanza della domanda dei consumatori americani. Le capacita’ di crescita interna dell’area europea sono rimaste piatte. Soffocate da un modello politico - con l’eccezione di Spagna, Irlanda e, parzialmente, Olanda - prevalentemente ostile alla creazione della ricchezza a causa delle elevate tasse e di altre inefficienze tipiche degli Stati sociali irriformati. In queste condizioni, ora che la locomotiva americana non tirera’ piu’, almeno per un po’ di tempo (poi rimbalzera’), si prospetta un brutto e pericoloso 2001 per l’economia reale europea. Gia’ nel mese di dicembre la disoccupazione in Germania – anche depurando il dato da fattori stagionali - e’ aumentata e la fiducia sulla crescita futura diminuita. In Italia, nell’ultimo periodo dell’anno, la produzione industriale e’ crollata. Il rallentamento americano – in atto gia’ dall’agosto del 2000 – ha cominciato a colpire. L’indebolimento, pur relativo e temporaneo, del dollaro sta inoltre togliendo  concorrenzialita’ internazionale alle merci denominate in euro (anche se riduce l’inflazione importata nell’eurozona). In sintesi, la sensazione e’ che la caduta dell’economia americana fara’ piu’ danni in Europa che non negli Stati Uniti. L’unico modo per evitarli sarebbe quello di dotare velocemente l’economia dell’eurozona di una sua capacita’ interna di crescita. Possiamo realisticamente sperarlo oppure no?

Il fattore piu’ critico e’ quello di trasferire ai cittadini piu’ capacita’ di spesa e di dare loro l’ottimismo per aumentare i consumi. Ed e’ importante che cio’avvenga, presto e molto, in Germania che e’ il cuore economico dell’intera eurozona. Se li’ aumenta la domanda tutti gli altri europei ne godranno. Cosa sta succedendo da quelle parti? Il governo Schroeder, pur di sinistra, sta tentando di ridurre le tasse per rilanciare i consumi. Anche se non si tratta di una vera rivoluzione fiscale, la quantita’ teorica del capitale tornato alle famiglie sarebbe sufficiente a dare un buon impulso alla crescita di quel mercato. Ma i primi dati mostrano che il tedesco medio intende usare questi denari in piu’ lasciatigli dal fisco non per nuovi acquisti, ma per aumentare il proprio monte di risparmio. Perche’ e’ preoccupato di non ricevere nel futuro una pensione (statale) adeguata. E preferisce assicurarsi meglio di fronte a questa incertezza. Se questa tendenza venisse confermata, allora la mancata riforma dei sistemi pensionistici annullerebbe, o comunque ridurrebbe, l’effetto positivo della riduzione dei pesi fiscali. Purtroppo e’ improbabile che il riformismo centrista della sinistra tedesca riesca ad ottenere il consenso dai sindacati e dalle ali piu’ estreme sul tema pensionistico. Quindi lo scenario, anche se non nero, resta grigio.

Con una venatura scura perche’ in Italia non c’e’ neanche il tentativo di defiscalizzare. E se ci sara’ con l’eventuale nuovo governo dopo le elezioni di primavera, comunque arrivera’ troppo tardi per stimolare la crescita entro il 2001.  In Francia e’ in atto una defiscalizzazione relativa simile a quella tedesca, ma piu’ timida e probabilmente compromessa dal medesimo problema di “incertezza del risparmiatore” detto sopra. Se si calcola che Francia, Germania ed Italia formano insieme circa il 70% dell’intero Pil dell’eurozona, allora lo scenario di crescita per l’anno appena iniziato non e’ dei migliori. I consumi interni non decolleranno al punto da compensare le perdite esportative. E cio’ fa ipotizzare che la crescita media dell’eurozona non superera’ il 2% (l’Italia l’1,5% circa). Se tale risultato ipotetico si avverasse, pur non essendo una catastrofe, si fermerebbe la ripresa dell’occupazione iniziata nel 2000 e la gracile ripresa europea dopo quasi un decennio di stagnazione.

C’e’ qualche altro dato positivo che puo’ farci sperare in qualcosa di meglio?  In teoria si’, anche restando nei limiti di compressione economica, per motivi politici, detti sopra. Il parziale indebolimento del dollaro potrebbe stimolare un  ritorno degli investimenti nell’area dell’euro. E non solo sul piano puramente finanziario, ma, soprattutto, su quello dell’economia reale. I motivi ci sarebbero. Pian pianino la statalista eurozona si sta scongelando. E c’e’ uno spazio oggettivo per ingrandimenti industriali e nuove iniziative nel settore dei servizi (che in Europa e’ molto sottodimensionato). Qualche mese fa la Germania ha tolto gli ostacoli alle acquisizioni. Ed e’ un buon segno. Ma probabilmente il mercato attende qualcosa di piu’, per esempio incentivi fiscali per chi si impegna in nuovi investimenti. Se arrivassero, con altre misure di flessibilita’ nel mercato del lavoro, molto probabilmente l’Europa potrebbe entrare in un boom indipendentemente dal ciclo americano. Il suo potenziale interno (piu’ di 300 milioni di consumatori) e’ di scala tale, infatti, da poter diventare tranquillamentelocomotiva di se stessa, e mondiale. Avremo questa buona notizia nel 2001? Possiamo solo sperarlo perche’ al momento non se ne vedono segni premonitori.  

(c) 2001 Carlo Pelanda
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